Vicenza nell’Anno Mille è una cittadina che conta cinque-seimila abitanti. Dopo i due secoli di prestigio dell’era longobarda, il suo ruolo si è progressivamente indebolito nel Regno d’Italia carolingio, pur restando sede di un comitatus, cioè di una ripartizione amministrativa del territorio affidata ad un conte di nomina regia. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Dopo la metà del X secolo, con l’avvento della dinastia imperiale sassone degli Ottoni, la contea di Vicenza entra a far parte della Marca Veronese, assegnata ai duchi di Baviera e poi a quelli di Carinzia.
Vicenza subisce la concorrenza del neocostituito comitatus di Padova (città risorta dopo la decadenza avvenuta due secoli prima) tant’è che il conte vicentino lo è anche di Padova. La nomina del comes è inizialmente prerogativa dell’imperatore e poi del duca ma, nel processo che porterà al feudalesimo, la carica si trasforma da elettiva in dinastica.
I Candiano, conti di Vicenza e di Padova
Nel 969 Ottone I nomina conte delle due città venete Vitale, figlio del duca di Venezia Pietro III Candiano. Vicenza nell’Anno Mille è governata da un figlio di Vitale di cui non è conosciuto il nome a causa della assenza di citazioni documentali.
Il ruolo del conte di origine veneziana è marginale in città. La famiglia Candiano è più interessata a consolidare il proprio potere nei territori amministrati e il proprio patrimonio grazie alle donazioni e ai privilegi ottenuti dall’imperatore.
La strategia dei Candiano è produttiva perché, già vent’anni dopo, i figli di Vitale sono radicati con propri castelli e fondi signorili in un territorio fra Vicenza e Padova.
Il contropotere del vescovo
Anche a Vicenza nell’Anno Mille esiste un contropotere nelle mani del vescovo locale. A differenza del conte, ne conosciamo il nome: Girolamo. È stato elevato all’episcopato due anni prima da Ottone III.
L’importanza del vescovo nella vita cittadina è preponderante rispetto a quella del conte. Anche a Vicenza il presule ha poteri amministrativi concorrenti con quelli del comes e si avvantaggia di un patrimonio fondiario che deriva dalle donazioni imperiali, esteso anche nel territorio. Nell’Anno Mille il vescovado è proprietario di diciannove castelli.
Il potere religioso nella Vicenza dell’inizio del secondo millennio è accresciuto dai monasteri di San Felice e di San Pietro, fondati dai Benedettini che si sono insediati in città già da un paio di secoli. Le due istituzioni sono diventate, da un lato, il fulcro della vita culturale della città e, dall’altro, centri di potere economico grazie ai loro possedimenti fondiari che occupano una parte cospicua del territorio vicentino.
Nel marzo del 1000 il vescovo Girolamo ottiene dall’imperatore due importanti privilegi: l’esenzione della chiesa vicentina dal fodro, un’esazione in natura (cibo e foraggio) che i privati devono versare per il mantenimento del sovrano e dell’apparato statale, e la concessione del Teatro Berga, utilizzato in precedenza come tribunale comitale.
La forma urbis della Vicenza nell’Anno Mille
Le dimensioni della città sono, all’incirca, le stesse della Vicetia romana. Il perimetro circolare urbano, lungo circa due chilometri e mezzo, è delimitato dalle mura che servono da netta separazione fra la campagna e l’abitato. Questo occupa la parte sopraelevata dell’area delimitata dalla rete fluviale. Sul lato sud e su quello est i fiumi sono valicati dagli antichi ponti romani.
La viabilità è in gran parte ancora quella improntata al reticolo ortogonale romano, che ha come asse principale l’antico decumanus maximus corrispondente all’attuale Corso Palladio.
Le mura sono state ricostruite a partire dal X secolo sul tracciato di quelle romane. L’opera di fortificazione riceve impulso in conseguenza della invasione dei barbari Ungari nell’899 e si protrarrà per due secoli. L’esigenza di una protezione della città e del territorio si concretizza anche nella erezione di numerosi castelli (il così detto “incastellamento”), di proprietà sia del vescovo che del conte e, nella parte settentrionale del vicentino, di alcune famiglie emergenti che, in seguito, avranno un ruolo importante nella vita della città.
Strutture difensive sorgono anche nell’abitato. Ne sono testimonianza l’imponente basamento della torre campanaria del Duomo, resto di un più esteso fortilizio a protezione della cattedrale, e la torre adiacente alla Basilica di San Felice, costruita contemporaneamente al nuovo monastero al posto di quello distrutto e incendiato dagli Ungari, e, due secoli dopo, riconvertita in campanile.
L’aspetto delle case è modesto. Gli imponenti edifici pubblici, costruiti dai Romani nei due secoli a cavallo della nascita di Cristo, non ci sono più come pure gli eleganti quartieri residenziali adiacenti al Foro. Dopo dieci secoli, ha prevalso la loro vetustà o il loro riutilizzo o la spoliazione dei materiali edili. Le costruzioni più importanti della Vicenza dell’Anno Mille sono quelle religiose: le sempre più numerose chiese e cappelle, il duomo, i monasteri. I cimiteri sono ora intra moenia: le sepolture avvengono sotto i pavimenti delle chiese e in aree ad esse circostanti.
Sulla economia locale e sulla qualità della vita dei vicentini non ci sono notizie. Questa fase dell’Alto Medio Evo è contraddistinta dalla pressochè completa assenza di fonti documentali e storiche, secondo una teoria perché c’era ben poco di interessante da raccontare e tramandare.
Si può solo ipotizzare, dunque, che le attività principali fossero quelle agricole grazie alla bonifica meritoriamente fatta dai Benedettini nei loro vasti possedimenti e alla conseguente destinazione degli stessi alle coltivazioni e all’allevamento. Il commercio era possibile grazie anche alle vie d’acqua che collegavano la regione: il porto è attivo anche nella Vicenza nell’Anno Mille.