I vicentini sono sempre stati molto religiosi, lo sono anche nella Vicenza romana. Pur in una piccola città, qual è allora Vicetia, esistono più luoghi di culto dentro e fuori le mura e i loro resti raccontano una convivenza, fatta di tolleranza e di civiltà, fra divinità eterogenee il territorio (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, prima e dopo questa sulla religiosità antica a Vicenza, ndr).
Ci sono, infatti, gli dei adorati dai Veneti e, contemporaneamente, quelli “importati” da Roma. Dal IV secolo dopo Cristo, arriva e prevale il monoteismo cristiano. Fra le prime due religioni si verifica (o almeno si tenta) una commistione, per quanto forse più nominale che reale, sempre voluta dagli stessi Romani e, a maggior ragione, in una città e in un territorio annessi in modo pacifico. Il Cristianesimo, invece, si impone scalzando progressivamente i culti preesistenti.
Nella Vicenza preromana le divinità sono quelle comuni a tutto il territorio occupato dai venetkens, specchio di una religione con connotati di panteismo (dal greco pan, che significa tutto, e theòs, dio: tutta la realtà ha natura divina).
È Reitia la dea principale di questo culto. Ha caratteristiche comuni a dee di altre religioni, che, come lei, rappresentano la natura, la fertilità, la salute (e, quindi, la guarigione) e l’aldilà.
Le radici di Reitia e delle sue consimili risalgono alla Preistoria e la identificano con la Dea Madre in cui credono già i primi uomini. In Grecia le è attribuito il soprannome pótnia therón (signora degli animali), i Romani cercano di sovrapporle la dea Minerva. Val la pena di sottolineare che la divinità più importante per i Veneti sia femmina, differenziandosi in ciò dal pantheon greco-romano, in cui la figura principale, Zeus/Giove, padre-padrone degli dei, invece ha connotati marcatamente virili.
Il culto paleoveneto di Reitia sopravvive all’arrivo dei Romani e delle loro divinità. La popolazione della città continua a considerarla la propria religione ed è attestato che, durante la dominazione di Roma, si svolgono pacificamente i sacra municipalia, le cerimonie del culto preromano.
Parallelamente nella Vicenza romana si venerano anche gli dei importati (ma non imposti) da Roma, compresi gli imperatori a cominciare da Ottaviano Augusto. Ma questo culto sembra trovare spazio solo nelle famiglie vicentine legate, per affari o per politica, a Roma, nella fascia cioè più ricca della popolazione cittadina che ha anche un interesse a romanizzarsi completamente.
Il Cristianesimo spezza questo secolare equilibrio e penetra anche a Vicenza seguendo due direttrici: da Aquileia e da Milano. Non è un caso che i corpi dei martiri Felice e Fortunato arrivino in città proprio da Aquileia, la più importante città del Nord Est, che è anche uno dei centri principali della nuova religione.
Non c’è possibilità di convivenza fra i culti preromani, quelli della Vicenza romana e quello proveniente dalla Palestina: i primi due sono politeisti e il terzo monoteista, i messaggi religiosi sono totalmente diversi, impossibile sovrapporre le nuove figure divine con quelle del passato. La sostituzione del Cristianesimo ai vecchi culti non è immediata ma, pur nella progressività, è veloce.
Non si sa se i cristiani siano stati osteggiati a Vicenza, sarebbe interessante conoscere il processo della successione in città. Magari, se si fossero trovati in città resti di un circo (è l’unico edificio pubblico che manca nella urbanistica romana di Vicetia), ci sarebbero state tracce di persecuzioni al suo interno. Ma l’assenza di martiri vicentini potrebbe far pensare invece a una cristianizzazione pacifica.
Tutte queste attività religiose dove si svolgono a Vicenza? C’è una premessa da fare: resti archeologici di edifici di culto non ce ne sono e quindi tutte le localizzazioni sono frutto di deduzioni ed ipotesi.
Della fase preromana vi è certezza di due siti. Il primo è il santuario della dea Reitia nel centro della città, sul lato nord della Via Postumia e nell’area prospiciente piazzetta San Giacomo. Un tempio importante che resta attivo per almeno quattro secoli, fino alla seconda metà del primo avanti Cristo, e che ospita sia il culto della dea che un centro di cultura e di istruzione. Sui Berici è rimasta traccia di un’area sacra nella collina di Ambellicopoli, su cui sorge il Museo del Risorgimento. Una stele ne indica il confine, ma non se ne sa nulla di più.
C’è un’altra zona sacra fuori delle mura, a circa un chilometro a nord ovest della città, in località Brotton. Sono ben due i siti qui allocati: un’area circolare del diametro di una ventina di metri che si suppone fosse un lucus o recinto sacro ricavato da una radura delimitata da palificazione. Una ipotesi di datazione lo colloca al 500 avanti Cristo. Con questo sito confina quello dove sorgeva un tempio dedicato alla solita Reitia, qui identificata come pótnia therón. La attribuzione è recente.
I resti sono noti già nel Settecento e il Velo ipotizza si trattasse di un tempio dedicato al dio Brotonte (Giove brontón, “tonante”) ma fonda la sua teoria esclusivamente sull’assonanza con il toponimo. Studiosi dei secoli successivi lo smentiscono e, solo nel 1965, c’è una svolta con fondamento scientifico: da alcuni scavi in zona emerge una antefissa (una statua che si installa sopra l’ingresso di un tempio) che raffigura, appunto, pótnia therón e identifica la dedica del tempietto.
I Romani abbattono il tempio di Reitia in centro e lo sostituiscono con il Capitolium, in cui si venerano le loro divinità e l’imperatore. Poco lontano, fra Galleria Porti e corso Palladio, ci sono tracce di una platea su cui doveva esserci un altro tempio, ma resta solo una ipotesi in mancanza di evidenze archeologiche della Vicenza romana.
Ci sono, infine, le necropoli. Sono a loro volta luoghi religiosi e, a Vicenza, ne sono state rinvenute con certezza due: quella di san Felice, lungo la Via Postumia, e quella di San Pietro, ai bordi della strada che portava a Padova.