La Vicetia romana, nel suo piccolo, è una bella città. Ordinata, con fabbricati pubblici e privati di pregio, ben contestualizzata nella particolare orografia del suo territorio urbano. L’area su cui sorge è quella parte dell’attuale Centro Storico ricompresa fra le mura altomedievali, un perimetro più o meno circolare lungo due chilometri e mezzo e di cinquecento metri di diametro (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr).
Apparentemente l’abitato si sviluppa su una altura ma la realtà è un’altra: i due fiumi che circondano Vicetia (l’Edronis, oggi Retrone, è il principale e arriva da sud e il Medoacus Minor, ossia l’Astico, invece scorre da nord nel letto poi occupato dal Bacchiglione) hanno scavato attorno ad essa dei profondi avvallamenti e ciò dà l’impressione che la quota urbana sia sopraelevata mentre è a livello del piano campagna.
Fatto sta che le mura cittadine risultano più in alto almeno di una decina di metri rispetto al territorio extra moenia e l’abitato, su tre lati, degrada con dolci pendii verso i fiumi. Anche il piano su cui si sviluppa la città è tutt’altro che omogeneo e presenta al suo interno quote diverse che impediscono ai Romani, quando ristrutturano l’urbanistica cittadina, di impostare il loro tipico reticolo ortogonale delle strade.
Immaginiamo, quindi, di trovarci a percorrere decumani e cardines – tutti lastricati – non perfettamente rettilinei né orientati esattamente sui punti cardinali e, per di più, con frequenti dislivelli. Vicetia, insomma, è una città multipiano, anche se dobbiamo tener conto che il livello dell’abitato è mediamente tre metri più in basso dell’odierno.
Il centro dell’oppidum è occupato dagli edifici pubblici: il Foro, il Capitolium, la Basilica, le Terme. Tutti monumentali, si può solo immaginare perché nulla ne è rimasto, ma probabilmente di dimensioni contenute e proporzionate a quelle della città.
Sui lati dell’area pubblica si sviluppa una vasta zona residenziale di livello medio alto. Teniamo presente che i ricchi, all’epoca, non abitano in palazzi ma in domus che potremmo paragonare a grandi ville. Il centro della Vicenza Romana è in gran parte (come risulta dai numerosi ancorché parziali ritrovamenti archeologici) un’area occupata da questa tipologia di abitazioni, articolata in isolati quadrati di circa sessanta metri di lato e scanditi dai decumani e dai cardi.
Alcune domus si sviluppano su due piani. Quello inferiore è semi sotterraneo e si chiama criptoportico (portico nascosto). Consiste in un peristilio coperto che consente, d’inverno, di passeggiare al riparo e, d’estate, al fresco. Ne è stato trovato uno notevole (la pianta è a tre lati) quando è stata costruita la canonica del Duomo. La parte più bella di questa zona residenziale è quella che, a sud est, dà sulla vallata costeggiata dal Retrone. Le domus più belle sono state trovate lì.
È probabile che, ai lati del decumanus maior (che ricalcava, leggermente più a nord, il tracciato di corso Palladio), ci fossero edifici di pregio e intonati all’impronta che i Romani avevano dato a Vicetia. Evidenze archeologiche però non ce ne sono o quasi: i resti sono finiti sotto i palazzi costruiti dal Trecento in poi.
Un edificio importante (su un’area di duemila metri quadrati) sorge a nord del decumano, nella zona di san Biagio. Non è stato possibile definirne la natura, cioè se fosse una domus o una schola (la sede di una corporazione o di una associazione religiosa). L’edificio è molto vasto, misura circa 25×32 metri e comprende anche un criptoportico, un giardino e una piscina con ninfeo.
In prossimità dei fiumi, per sfruttarne l’energia idrica, trovano posto le attività produttive. A Vicenza e nel suo territorio ci sono imprese anche di discrete dimensioni legate soprattutto ai materiali per l’edilizia: famosa la fornace della gens Dellia da cui escono laterizi (soprattutto tegole) molto diffuse. È probabile che, in città, si lavori la pietra proveniente dalle cave di Costozza.
Il commercio è localizzato attorno al Forum. Anche in assenza di ritrovamenti, si può ipotizzare che i mercanti tenessero bottega in prossimità della Basilica (che, oltre che come palazzo di giustizia, è utilizzato anche come borsa merci) e del porto fluviale dove attraccano le imbarcazioni che trasportano merci dai centri vicini.
Come nel Rinascimento, i ricchi vicentini hanno le loro domus anche nell’agro e cioè fuori delle mura. Sono state rinvenute nelle campagne parecchie ville appartenute a famiglie importanti di Vicetia. La attribuzione della proprietà di queste è stata possibile grazie al rinvenimento di lapidi sepolcrali che riportano il nome del defunto. Evidentemente i proprietari terrieri costruiscono la loro “casa di campagna” vicino ai possedimenti e, come nel Cinquecento, vi risiedono per una parte dell’anno.
Nulla, inevitabilmente, si sa delle zone in cui abitano le famiglie popolari. Le loro abitazioni sono costruite con materiali deperibili e quindi non ne è rimasta traccia. È verosimile che questa fascia di popolazione vivesse ai margini dell’abitato se non addirittura extra moenia.
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