Dopo le sostanziali innovazioni apportate alla città dai Romani fra la seconda metà del I secolo avanti Cristo e la prima del successivo, Vicetia rimane immutata per i successivi duecento anni (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr). E lascia ben poche tracce di sé nella storia, anche in quella locale. I vicentini sono evidentemente appagati dalla buona qualità della propria vita, dal diffuso benessere, dalla dotazione di servizi ed edifici pubblici a loro disposizione e puntano al mantenimento dello statu quo piuttosto che alla crescita della città o alla competizione con i centri vicini, come Padova e Verona, che per altro ormai hanno raggiunto una importanza ben maggiore.
Le prime rilevanti novità arrivano nel IV secolo e sono legate alla cristianizzazione del territorio. La religiosità dei vicentini è stata in precedenza spartita fra il culto delle divinità protovenete e quello del pantheon romano. Le due religioni convivono, hanno propri luoghi di culto, a Roma conviene tollerare che i fedeli alleati di sempre conservino i loro dei. La preferenza per la fede ufficiale del potere è riservata alle famiglie ricche, magari di rango senatorio, che hanno più interesse e occasione di essere legate all’Impero.
Alla fine del III secolo dopo Cristo arriva anche nella X Regio Venetia et Histria la fede cristiana. L’epicentro della diffusione è Aquileia, una delle città più importanti della regione sia militarmente che economicamente. Il cristianesimo segue le vie del commercio dal Medio Oriente per arrivare, nella seconda metà del III secolo, nella ex-colonia romana e vi si attesta rapidamente anche per la presenza di una importante colonia ebrea. Lungo le strade consolari (la Via Postumia e la Annia) il nuovo culto si diffonde poi negli altri centri veneti, radicandosi con altrettanta velocità non ostante la dura opposizione dell’Impero che si spinge fino alla persecuzione dei cristiani.
Anche Vicenza è raggiunta ma mancano totalmente fonti che precisino date, modalità, protagonisti della cristianizzazione cittadina. Nel Medioevo si è lavorato molto di fantasia in proposito dando vita a storie poi rivelatesi false, come quella che attribuiva la evangelizzazione di Vicetia a san Prosdocimo, primo vescovo di Padova.
Le uniche evidenze sono quelle archeologiche e fissano la sicura presenza di cristiani in città fra la fine del III e l’inizio del IV secolo dopo Cristo perché lo provano ben due edifici religiosi, la data della cui edificazione non è nota ma è concordemente identificata nella seconda metà del Trecento. Sono la Basilica suburbana dei santi Felice e Fortunato e la chiesa cittadina che, due secoli dopo, diverrà la Cattedrale di Santa Maria Annunciata (e cioè il Duomo).
Per molto tempo si è ritenuto che fosse la prima la sede vescovile di Vicenza ma il rinvenimento dei resti della seconda ha cambiato le prospettive e ridisegnato i ruoli delle due chiese nella prima comunità cristiana cittadina. Anche perché Vicenza sembra diventi Diocesi solo due secoli dopo, in quanto il primo vescovo vicentino storicamente provato è Oronzio alla metà del VI secolo.
La collocazione della chiesa paleocristiana dedicata ai martiri Felice e Fortunato non è casuale. Nella zona, in parte paludosa, c’è già, infatti, una delle necropoli di Vicetia e in essa anche i primi cristiani inumano i propri morti. All’inizio del IV secolo, il 14 maggio del 303 o dell’anno seguente, sono martirizzati ad Aquileia due fratelli vicentini, Felice e Fortunato appunto, forse soldati, vittime delle persecuzioni dell’imperatore Diocleziano. I due, dopo essere stati torturati, sono decapitati sulle rive del fiume Natissa. La notizia rimbalza a Vicenza e nasce una incredibile controversia fra le due comunità protocristiane vicentina e aquileiese sulla rivendicazione da parte della prima delle spoglie dei martiri. La questione è risolta in maniera per così dire salomonica nel 381 da sant’Ambrogio: la salma di Felice torna a Vicenza, quella del fratello resta a Aquileia (da cui poi è traslata a Chioggia, di cui diventa patrono). La leggenda voleva che le due comunità si fossero scambiate le teste dei martiri e, quindi, che il corpo di Felice e la testa di Fortunato fossero conservati a Vicenza. Ma non è vero, com’è stato dimostrato da perizie moderne che hanno assegnato i resti ad un solo soggetto.
Nella seconda metà del Trecento dopo Cristo (nel 313 è ammessa dall’editto di Costantino la libertà di culto per il Cristianesimo), i vicentini costruiscono nella necropoli lungo la Via Postumia prima un sacello e poi una chiesa in cui sono allocate le reliquie di Felice all’interno di un sarcofago in pietra. L’edificio, una semplice aula paleocristiana, ha una prevalente funzione di culto martiriale ed è abbattuta mezzo secolo dopo e sostituita da una nuova chiesa più ampia. È visibile, all’interno della Basilica romanica attuale (che risale al XII secolo), un vasto tratto della pavimentazione musiva del primo edificio, in cui sono riportati i nomi dei fedeli che contribuirono alla sua costruzione (gli sponsor dell’epoca).
Pure alla seconda metà del Trecento dopo Cristo risale la chiesa urbana sottostante il Duomo cittadino. I resti sono stati scoperti nell’ultimo dopoguerra e hanno evidenziato l’esistenza di un’altra aula protocristiana che, a sua volta, aveva preso il posto in una villa romana. La datazione di questo edificio religioso in contemporanea con quello di san Felice è legata ad analogie archeologiche. Prevale la ipotesi che fosse questa chiesa centrale la cattedrale di Vicenza (quella cioè in cui c’era la cathedra), in cui si insediava occasionalmente un vescovo proveniente da un’altra città (Padova?). È interessante, comunque, osservare che una piccola città come Vicenza avesse contemporaneamente due chiese di grande importanza cultuale e sociale.
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