Nei diciassette anni intercorrenti fra il 1387 e il 1404 Vicenza cambia per tre volte la soggezione a una potenza esterna: dai veronesi Della Scala ai milanesi Visconti per finire nelle mani della Serenissima Repubblica. Bisogna riconoscere la grande abilità dei vicentini nel barcamenarsi, senza in pratica rimetterci alcunchè, fra potenze militari e politiche a fronte delle quali la urbicula berica avrebbe potuto finire schiacciata e marginalizzata. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Il cinismo vicentino (“O Franza o Spagna purchè se magna” avrebbe sentenziato a metà del Cinquecento Francesco Guicciardini) prevale sulla prospettiva di una autonomia che la città e il suo territorio non possono permettersi perché, prima di tutto, non hanno le forze militari per conquistarla e difenderla.
Lo sviluppo economico, iniziato nel XIV secolo grazie al fiorire dell’agricoltura, della manifattura tessile e del commercio, va protetto e i capitali sono investiti non nelle armi ma nell’imprenditoria. È vero, c’è un prezzo da pagare pesante, sia politico (con la rinuncia ad una propria identità) che militare (con la scusa della difesa, la città è di fatto soggetta a forze di occupazione) che fiscale (per i servizi che forniscono, le varie dominanti pretendono il pagamento di fior di tributi), ma ne vale evidentemente la pena. Lasciateci lavorare, pensano i vicentini, e non metteteci in mezzo alle vostre guerre.
Dagli Scaligeri ai Visconti
Dopo quasi un secolo di signoria, in cui sono riusciti a espandere il proprio dominio su una bella fetta del Nord Italia, i della Scala sono tornati alle dimensioni di partenza e cioè a Verona, al suo territorio e alla succube Vicenza. Il finale della casata è funestato da lotte familiari per la conquista del potere e da un indebolimento politico e militare che ne fa oggetto delle mire dei confinanti: i Visconti a ovest e i padovani da Carrara a est. Le due signorie si alleano e gli Scaligeri capitolano. Il 18 ottobre 1387 cade Verona, il 24 ottobre Gian Galeazzo Visconti conquista Vicenza, ben accolto da un ceto dirigente disponibile, come sempre, ad assoggettarsi ma mai a Padova. I promotori in città dell’arrivo del signore milanese sono Giacomo da Thiene e Giampietro de Proti, appartenenti a due illustri casati vicentini.
I Carrara, negoziando l’anno prima l’alleanza con i Visconti, avevano concordato che Vicenza sarebbe passata sotto il loro dominio. Gian Galeazzo, dopo l’occupazione di Vicenza, rovescia il patto e se l’annette e muove guerra agli ex-alleati conquistando anche Padova l’anno dopo.
I tre lustri del dominio visconteo
Gian Galeazzo è un politico scaltro e capisce che, per consolidare il proprio potere sulla nuova conquista, gli conviene dare continuità all’assetto amministrativo creato dai predecessori veronesi. Non solo, perché amplia in misura non marginale l’autonomia amministrativa locale, lasciando ai vicentini il controllo diretto del territorio. Crea, infatti, un nuovo Consiglio che provvede alla nomina dei vicari del distretto, che diventano così funzionari del Comune e non più del Signore.
Alla fine del secolo prende forma un nuovo paradigma di spartizione dei poteri, che durerà per secoli, anche con Venezia. Vicenza ne esce rafforzata perché, pur con tutte le dipendenze e le soggezioni di fondo alla signoria dominante, comunque si amministra con propri statuti e organismi rappresentativi e, soprattutto, stabilizza il rapporto con il proprio territorio.
Sotto l’aspetto urbanistico ed edilizio, nei diciassette anni viscontei in città non ci sono novità significative. Val la pena, però, di ricordare che, proprio nell’ottobre del 1387, comincia la costruzione della chiesetta dedicata a san Vincenzo, il nuovo patrono della città. È ubicata sul lato nord della Piazza Maggiore, nel recinto del Peronio, di fronte al palazzo del podestà e all’angolo con la stradella della Malvasia. Alla fine del secolo, poi, è completato il chiostro e restaurato il monastero annesso alla Basilica di san Felice, rinnovando l’importanza dello storico centro religioso, ridotto dagli Scaligeri ad avamposto militare con la fortificazione del campanile.
Lo sviluppo economico di Vicenza
Con il cambio di dominio non s’interrompe la crescita della economia cittadina. Vicenza diventa uno dei più importanti centri di produzione di tessuti in lana, le cosiddette “pezze”, grazie ad un ciclo completo del processo manifatturiero: dall’allevamento del bestiame, che fornisce la materia prima, alle attività successive alla tosatura fino al prodotto finito. I laboratori sono collocati all’interno delle mura e concentrati in vicinanza dei fiumi, che costituiscono le fonti di energia per la lavorazione. Nella zona nord-orientale della città c’è la prima “zona industriale” di Vicenza, mentre quella commerciale si attesta nel Peronio. I garzatores, gli artigiani che raffinano la lana, sono insediati fra contrà Muschieria e piazza delle Erbe.
La “Fratalia Lanariorum”, la fraglia che è sindacato e corporazione, conta all’inizio del Quattrocento quasi settemila iscritti. Se si confronta questo dato con quello della popolazione (dodicimila abitanti), se ne ricava un rapporto impressionante. Lo sviluppo della produzione tessile si appoggia a nuove forme societarie, vere e proprie società in accomandita in cui cittadini-investitori apportano capitali ai soci-produttori.
La laboriosa Vicenza si crea, grazie all’economia, quell’importanza e quel ruolo che la politica e le armi non sono riuscite a darle.
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