“Sarà dedicato alla mia defunta madre che è fonte di grande orgoglio per me. Mia madre era una donna incredibile che amava la Scozia”. Così Donald Trump nel 2023 all’inizio dei lavori di un nuovo campo di golf nel Paese natale della madre, Mary Anne MacLeod. La MacLeod immigrò negli Usa nel 1930 e nel 1936 sposò Fred Trump, padre del 45esimo presidente e attuale candidato alla presidenza del Partito Repubblicano. Uno dei due genitori del tycoon nacque dunque fuori dagli Usa.
Nel caso della sua avversaria, Kamala Harris, la candidata del Partito Democratico, ambedue genitori nacquero fuori dagli Usa. Il padre, Donald J. Harris, nacque in Giamaica, e la madre Shyamala Gopalan, in India. La Harris ce lo ha ricordato nel discorso alla Convention del suo partito il mese scorso, concentrandosi molto di più sulla madre, con la quale crebbe dopo il divorzio dei genitori.
Nonostante i loro legami con l’immigrazione nessuno dei due candidati nella campagna elettorale parla dei contributi degli immigrati alla formazione e la crescita del Paese. La retorica del passato usata da ambedue i partiti che gli Usa è un Paese di immigrati sembra essere stata spazzata via dai due candidati attuali ma in modo particolare dal candidato repubblicano. Trump, va ricordato, iniziò la sua scesa in campo politico con un discorso in cui accusò il Messico di mandare negli Usa “gente con problemi che porta droga, crimini” accusandoli anche di essere “stupratori”. Una retorica estremamente aspra che continua tutt’oggi e difatti diventa quasi ogni giorno più terrificante.
Nei suoi comizi e persino nei suoi dibattiti con Joe Biden nel mese di giugno e in quello di settembre con la Harris, Trump ha parlato di milioni di migranti che invadono il Paese, assegnando la colpa a Biden e in tempi più recenti alla Harris. Il candidato repubblicano colpisce soprattutto i democratici per non controllare gli ingressi dal confine col Messico. La soluzione che propose nella sua campagna elettorale del 2016 consisteva della costruzione di un muro lungo il confine col Messico. In quattro anni di mandato dal 2007 al 2021 Trump riuscì a farne costruire solo una piccolissima parte dei 3.145 chilometri che separano i due Paesi. La sua soluzione adesso sarebbe quella di una deportazione massiccia degli undici milioni di residenti senza permesso legale anche se lui dice che ce ne sono molti di più.
L’immigrazione è uno dei cavalli di battaglia di Trump e i democratici sono visti dagli americani come meno competenti a risolvere la questione. Secondo un recente sondaggio del New York Times/Siena College, Trump è avanti di 10 punti su Harris nella questione dell’immigrazione. Non sorprende dunque che il candidato repubblicano continui a parlare dell’invasione di migranti. La paura degli stranieri produce risultati alle urne.
Harris e i democratici hanno riconosciuto di essere indietro e avevano ceduto nel disegno di legge approvato dal Senato nel febbraio scorso. Si trattava di una legge sponsorizzata da senatori repubblicani conservatori ma anche democratici. La legge avrebbe ampliato il numero delle detenzioni al confine impedendo gli ingressi se i numeri aumentassero, stanziato fondi per ingrandire il numero di agenti alla frontiera e investito su apparecchiature tecnologiche per catturare i trafficanti di droga. Trump però silurò la legge, minacciando i parlamentari repubblicani, vedendola come un potenziale successo per l’allora candidato democratico Biden. Mike Johnson, speaker della Camera, non sottomise la legge al voto. La Harris ha detto nel suo discorso alla Convention Democratica che lei da presidente riproporrebbe la legge e eventualmente la firmerebbe e lo ha ripetuto nel recente dibattito contro Trump. Discutendo la questione dell’immigrazione, la Harris ha giustamente fatto notare che Trump non si interessa a risolvere i problemi del Paese, preoccupandosi di mantenere vivi i problemi per ottenere più voti all’elezione di novembre.
In effetti, i democratici hanno riconosciuto l’immigrazione come un aspetto negativo, accettando il ruolo di giocare in difesa. Esistono però aspetti molto positivi per quanto riguarda l’economia. Lo ha confermato Jerome Powell, presidente della Federal Reserve Bank, in un’intervista al programma 60 Minutes della Cbs. Powell ha reiterato che la ripresa economica statunitense è dovuta ai migranti i quali durante la pandemia erano stati tagliati fuori dall’entrare nel Paese per paura dei contagi.
Un’altra conferma dell’importanza degli immigrati ci viene offerta dalla città di Springfield Ohio, piombata nel mirino di Trump per una bufala sui migranti haitiani. L’ex presidente ha ripreso una fake news caldeggiata dal suo vice JD Vance secondo cui i migranti haitiani residenti a Springfield avrebbero rapinato le anatre dai parchi e persino cani e gatti di alcuni cittadini americani per mangiarli. Nulla di vero come hanno smentito il sindaco della cittadina Bob Rue e anche il governatore Mike DeWine, ambedue repubblicani. I due hanno anche riconosciuto il valore dei migranti haitiani che hanno iniettato una boccata di ossigeno alla città. La popolazione di Springfield era scesa da 80 a 60 mila residenti ma adesso i 20 mila haitiani hanno stabilizzato la popolazione, fornendo un’essenziale manodopera alle industrie locali.
Al di là degli aspetti economici confermati dalla situazione di Springfield l’America è sempre stata un Paese in cui l’immigrazione ha avuto una forte influenza. Gente da tutte le parti del mondo sono venuti e continuano a venire. La mancanza di riconoscimento dei loro contributi dovuti in grandissima misura alla politica di Trump ma anche ignorati dai democratici consiste di una grossa lacuna, una maniera di riscrivere la storia. È triste che per ottenere successi politici ambedue Trump e la Harris vedano solo gli aspetti negativi dell’immigrazione e ignorano quelli positivi. In ciò nessuno dei due onora i loro genitori per la loro mancanza di rispetto e riconoscimento del valore dell’immigrazione. I due candidati presidenziali, con genitori immigrati, non vedono l’immigrazione con occhi benevoli. In ciò riflettono una mancanza di onorare i loro genitori ma anche la stragrande maggioranza degli americani che hanno radici in tutte le parti del globo.