C’è una area vastissima di Vicenza che è come se non facesse parte della città. È una zona periferica di oltre due milioni di metri quadrati che occupa una posizione splendida, ai piedi dei Colli Berici e attraversata dal Retrone, il fiume più bello della città.
Poteva essere una area di sviluppo residenziale ordinato e gradevole, rispettoso dell’ambiente e introduttivo alle bellezze del Centro Storico. Invece è, da sessant’anni, la Zona Industriale.
Non c’è dubbio che sia la parte peggiore di Vicenza, da cui la separano a sud i colli e la linea ferroviaria e a est l’antico viale di sant’Agostino, cesura che fa dell’insediamento industriale-terziario-fieristico una appendice a sé stante dell’abitato. La Zona Industriale, com’è popolarmente definito tutto il comprensorio che, in realtà, ingloba tre realtà urbanistiche e funzionali ben distinte, si presenta in gran parte come un confuso agglomerato di capannoni attraversato da una viabilità tracciata prevalentemente a linee ortogonali, priva di qualsivoglia arredo urbano e del benchè minimo verde, in massima parte senza marciapiedi. Le condizioni delle strade (asfalto, illuminazione, segnaletica orizzontale, ecc.) sono a dir poco in degrado. Dalla chiusura degli opifici i vialoni restano deserti e di notte hanno ospitato la prostituzione.
La urbanizzazione dell’area avviene in tre fasi. Tutto comincia con il Piano Regolatore Generale del Comune, opera del professor architetto Plinio Marconi e approvato nel 1958, cinque anni dopo il conferimento dell’incarico al progettista. Nella Relazione, Marconi osserva che gli insediamenti industriali esistenti (le acciaierie di viale Mazzini, la Zambon di san Felice, il Cotorossi di Borgo Berga, ecc.) sono sparsi per la città e collocati nei posti sbagliati. Propone quindi di concentrarli in una sola zona e la individua nel settore occidentale o, più precisamente, nel quadrante sud ovest. Perché proprio lì? Perché è prossima alla linea ferroviaria e alla futura autostrada e a monte del flusso delle acque e dei venti prevalenti. E su questo non marginale aspetto il prof. arch. prende una colossale cantonata: è lui stesso, infatti, a spiegare che i venti spirano soprattutto da nord e da sud ovest, quindi in direzione della città, ed è poi evidente che il corso del Retrone porta le acque addirittura in Centro Storico. Gli scarichi delle industrie finiscono quindi proprio su Vicenza! Senza contare che il Retrone ha la brutta abitudine di esondare allagando le golene circostanti.
Negli Anni Sessanta il Comune parte in quarta: compra i terreni, li lottizza e li assegna e pianifica e realizza viabilità e infrastutture. Costo: 3.224.000.000 milioni di lire. Nei preventivi l’operazione si chiude in pareggio: il Comune compra le aree a 500 lire al metro quadro e le rivende (urbanizzate) a 1.850.
Fase due: anche la Fiera è spostata fuori dal centro. Trasloca nella nuova sede costruita di fianco alla Zona Industriale, da cui è separata dal viale del Sole, la tratta della circonvallazione esterna che raccorda l’autostrada con la viabilità verso il nord. La proprietà dell’area fieristica è della Immobiliare Fiera di Vicenza s.p.a., controllata in quote paritarie da Comune, Provincia e Camera di Commercio. Ed è proprio quest’ultima a promuovere la nascita, in contiguità alla Fiera, di un Centro Terziario, ovvero di un insediamento destinato a imprese commerciali e distributive. Si ripete il bis dell’operazione Zona Industriale anche se i prezzi sono ben più alti: per acquistare 290.000 metri quadri e urbanizzarli si deve spendere un miliardo. Il costo medio dei terreni al metro quadro è 2.180 lire, quello di vendita 5.100 lire. In pochi anni il prezzo di acquisto è cresciuto più di quattro volte, quello di vendita di quasi tre. Chi saranno stati i fortunati proprietari di quelle aree cedute al Comune?
L’operazione è un successone e porta rapidamente al prolungamento verso ovest della Zona Industriale. La morfologia urbanistica è identica, vialoni e traverse a perpendicolo, zero verde (a parte un estemporaneo campo incolto davanti alla Fiera) e arredo urbano.
All’inizio degli Anni Settanta, inopinatamente a sud del Terziario spuntano due grandi stabilimenti, la Valbruna e la Beltrame, due acciaierie che traslocano da viale Mazzini. Non dovrebbero stare a fianco di imprese del terziario ma nasce comunque una isola industriale staccata dal resto della Z.I., salvo una marginale contiguità con la fabbrica Zambon. Ma, soprattutto, a due passi dal Retrone. Dove finirà inevitabilmente l’inquinamento delle acque e dell’aria? Sulla città. Insieme a quello provocato dal traffico autostradale.
Per complicare la situazione si crea un percorso obbligato in direzione Altavilla, che devia il traffico dalla direttrice principale di viale della Scienza e lo costringe a perimetrare l’area per mezzo chilometro per poi rientrare sullo stesso viale. Viabilità incomprensibilmente modificata da anni anche non nei periodi di apertura della fiera, che, a loro volta, comportano intasamento di aree e bordi strada da parte di automezzi di espositori e visitatori.
Le amministrazioni si sono lodevolmente proposte, anche con strumenti urbanistici, di cambiare le cose ma non è cambiato quasi nulla. Il 20 ottobre dell’anno scorso ci si è cimentato anche il sindaco Francesco Rucco che, presentando al Consiglio comunale, il suo “documento urbanistico” ha detto: “è nostra volontà promuovere la rinascita della zona industriale attraverso strumenti urbanistici elastici e pronti a recepire i cambi di destinazioni che il mondo dell’industria richiede, riducendo la necessità di ricollocare le nuove funzioni in altre aree verdi della città”.
È solo l’esposizione di una lodevole intenzione, aspettiamo con curiosità di conoscere modalità e tempistiche.
Qui gli articoli della rubrica “La Vicenza degli orrori”
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