L’affrancamento al 2% del valore massimo: l’ulteriore danno subito dai soci azzerati di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca

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Uno dei problemi, magari marginali rispetto al quantum del perduto, è il costo, che ad oggi è non recuperabile e, quindi, è diventato una perdita ulteriore, sostenuto dai soci poi azzerati di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca per l’affrancamento che hanno effettuato per evitare il rischio di dover pagare tasse maggiori per eventuali rivalutazioni delle quote da loro possedute, quote che, invece, si sono poi completamente azzerate. Ne parliamo con un socio, Luca Canale, sempre attivo per le tante altre vittime come lui.

L’affrancamento è, come dice il termine stesso, una procedura per “liberare”, “affrancare” (in questo caso da vincoli o imposte) un prodotto finanziario quali azioni o obbligazioni (NB: Non è applicabile sui Titoli di Stato).

L’affrancamento viene fatto per diversi motivi, sia per riallineare il valore di quote societarie (rideterminando il valore fiscale) sia per anticipare il pagamento di imposte sulle plusvalenze.

Quando nel 2011 il Governo Monti aumentò l’aliquota sulle rendite finanziarie (tra cui il capital gain) dal 12,5% al 20% furono pochi coloro che scelsero l’affrancamento, dato che conviene farlo solo su titoli/prodotti finanziari il cui valore è in “molto probabile” aumento (come si riteneva fossero le quote in “musìna”, salvadanaio, delle due popolari venete, motivo per il quale molti soci aderirono all’affrancamento) generando plusvalenze tassabili al momento della vendita, mentre risulta sconveniente farlo su titoli che sono in probabile perdita e, quindi, affetti dalle relative minusvalenze, ovviamente non tassabili.

Nel caso specifico, ai risparmiatori detentori di quote delle due società fu proposto il versamento una tantum di un’imposta del 2% al Fisco consentendo:
– ai risparmiatori, in caso di futuri realizzi (vendita delle quote), un risparmio d’imposta sul capital gain già teoricamente conseguito e, poi, su quello ulteriore successivo alla data di affrancamento;
– all’amministrazione finanziaria una entrata certa e immediata, invece di aspettare il momento in cui i risparmiatori avessero venduto le quote.
Nel caso di BPVI il versamento fu stabilito in ? 1,25 ad azione, stante il valore di ? 62,5 “Attestato, giurato e certificato” (vedasi allegato per maggio 2012 e poi confermato anche, ad esempio, a luglio 2014) mentre per Veneto Banca l’importo fu di ? 0,815 (rapportato al valore massimo di 40.75 euro di ogni azione).
Il problema è che molti risparmiatori hanno aderito a questa opzione prevedendo di poter vendere le quote detenute, vendita che però non si è mai concretizzata, stanti, in vari casi, le preferenze e gli scavalcamenti nella cronologia degli ordini di vendita che sono stati bene illustrati in svariate occasioni sia sulla stampa che in sede di Commissione di Inchiesta (Parlamentare e Regionale), poi per il blocco del fondo per il riacquisto azioni proprie e, quindi, per l’azzeramento totale del valore dei titoli.
Pertanto le persone che hanno aderito al c.d. “Affrancamento” hanno subito un ulteriore danno, oltre a quello relativo all’azzeramento del valore delle azioni, avendo anche versato somme non trascurabili a titolo di imposta su un realizzo futuro ed ipotetico che non si è mai realizzato.
Riferimenti normativi:
L. 244/2007
D.L. 201/2011
D.L. 70/2011
D.L. 138/2011