(Adnkronos) – Il 50% dei lavori che viene fatto in ufficio è già inutile. Con l’Ai questa soglia sale al 93%. La domanda vera è capire cosa faranno le persone nei prossimi cinque o dieci anni. Anche un sito come Aranzulla.it potrebbe non avere più senso. Ad affermarlo è Salvatore Aranzulla, il noto blogger di contenuti tecnologici, intervistato al podcast di Bsmt di Gianluca Gazzoli. L’esperto di coding è molto scettico e pensa che con l’Ai i lavori e le persone dovranno essere ripensate: “Finirà malissimo. Non sono per nulla ottimista”. “Perché dovrei consultare un sito del genere se posso consultare l’Ai per chiedergli informazioni sulla configurazione della stampante – ha risposto l’esperto, interrogato dall’intervistatore sul tema -? L’Ai ti risponderà in maniera puntuale e precisa, piuttosto che leggere un articolone enorme come il mio e cercare la sezione che riguarda il tuo pc”. Nel caso degli autori di siti internet e blog, Salvatore Aranzulla si domanda: “Nel caso del mio ambito è capire come questa Ai pagherà il nostro lavoro. L’Ai non inventa, ma va a rubare delle informazioni dai siti esistenti. Se Aranzulla.it non esisterà più l’Ai dove prenderà le informazioni?” “Su ogni singolo ambito lavorativo ci sono report che stimano quanto siano sostituibili i dipendenti e i professionisti. Riportano dati elevati come l’80% di probabilità di sostituzione. Anche una redazione di un quotidiano, in cui spesso vengono rielaborati i comunicati stampa o le notizie di economia, ad esempio, perché dovrebbero rimanere persone a scrivere un articolo?”, si chiede l’esperto IT. Quindi cosa faranno le persone nei prossimi anni? “Bisognerà dare uno scopo a chi si sveglia la mattina. Io oggi porto avanti la mia famiglia e il mio lavoro, risolvo i problemi della sera prima, cresco mia figlia. Se la metà di ciò non dovesse più esistere che scopo avrò la mattina? Non sono per niente ottimista. Finirà male”. Uno degli studi più recenti è quello dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, secondo il quale, da qui a dieci anni, le macchine potrebbero svolgere il lavoro di 3,8 milioni di persone solo in Italia. Sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato progetti Ai e lo stesso mercato dell’Ai cresce in maniera veloce: +52% nel 2023, per un valore di 760 milioni di euro. Molto indietro restano, per ora, le piccole e medie imprese: solo il 7% sta riflettendo su potenziali applicazioni e solo il 2% ha attivato almeno una sperimentazione. Dal punto di vista dei lavoratori, poi, ben il 77% degli italiani guarda con timore all’Ai, soprattutto in relazione ai possibili impatti sull’occupazione. Un intervento dalle istituzioni si è reso necessario con l’Unione europea precorritrice sulla legislazione legata all’Ai. Ai Act ha definito l’intelligenza artificiale “come un sistema automatizzato progettato per funzionare con livelli di autonomia variabili e che può presentare adattabilità dopo la diffusione e che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce dall’input che riceve come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali”. La legislazione Ue segue un approccio basato sul rischio vietando quei sistemi che hanno rischi inaccettabili; requisiti precisi per sistemi ad alto rischio prevedono una valutazione di conformità e una supervisione umana e infine sono ammessi con regole meno stringenti quei sistemi a basso o minimo rischio. —tecnologiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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