L’Anci detta le linee guida per le Comunità energetiche rinnovabili

253

(Adnkronos) – Tutti i dati dimostrano che bisogna accelerare il percorso di transizione ecologica ed energetica, che presenta delle indiscusse criticità. Un modo efficace per portare avanti il percorso green vede senz’altro l’abbattimento dei limiti procedurali, a partire dalle incomprensioni tra le istituzioni.  In quest’ottica, l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) ha redatto in collaborazione con il Gse, un vademecum per promuovere lo sviluppo delle comunità energetiche a trazione pubblica.  Una guida non vincolante, ma con informazioni pratiche per aiutare le amministrazioni pubbliche e i territori a sfruttare i meccanismi di sostegno per diffondere l’autoconsumo energetico. Il documento diventa ancora più prezioso per le amministrazioni dopo che l’Ue ha stabilito che almeno il 20% dell’energia da fonti rinnovabili provenga dalle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) con l’obiettivo di accelerare la transizione ecologica e renderla partecipata e diffusa dal basso nei territori.
 La guida Anci indica tre forme giuridiche per costituire una Cer: associazione, cooperativa e fondazione di partecipazione. Non esiste una forma giuridica giusta per avviare una Cer (comunità energetica). La scelta della forma giuridica ideale per una comunità energetica dipende da vari fattori come il numero di partecipanti e le risorse disponibili. Le tre forme indicate dall’Anci e dal Gse sono: – Associazione; – Cooperativa: queste prime due forme giuridiche sono soluzioni flessibili e meno costose, adatte soprattutto per enti di dimensioni ridotte, grazie alla loro facilità di costituzione e gestione. Offrono la possibilità di entrare e uscire con facilità, rendendole ideali per comunità dinamiche e in evoluzione;  – Fondazione di partecipazione: questa forma giuridica si è affermata come un partenariato pubblico-privato che consente alle amministrazioni pubbliche di collaborare con privati per svolgere attività di interesse generale. Tuttavia, comporta costi più elevati e potrebbe non essere la scelta migliore per i comuni più piccoli a causa delle risorse necessarie per la sua gestione. Il documento chiarisce che un elemento chiave per il successo delle comunità energetiche è la presenza di uffici o settori dedicati, così come la nomina di un energy manager. Questo ruolo è cruciale per il coordinamento delle operazioni e l’ottimizzazione dell’uso dell’energia a livello comunale. Sull’energy manager ricadono infatti le responsabilità di monitorare i consumi energetici, pianificare interventi di efficientamento e assicurare la sostenibilità dei progetti energetici. Alcune esperienze italiane sono la dimostrazione di come individuare un partner qualificato e neutrale possa risultare decisivo per realizzare una Cer. Esempi di tali partner includono istituzioni scientifiche, accademiche, o agenzie locali per l’energia, tutti soggetti in grado di fornire competenze tecniche e consulenza strategica, garantendo che il progetto sia avviato su basi solide e che le decisioni prese siano ben informate e imparziali. Per quanto riguarda il finanziamento, il vademecum Anci suggerisce di considerare forme di finanziamento privato se le risorse pubbliche non sono sufficienti. Tra le opzioni disponibili ci sono: – Contratti di approvvigionamento energetico: questi possono essere gestiti tramite Consip o altre piattaforme di approvvigionamento pubblico, garantendo trasparenza e competitività; – Contratti di prestazione energetica (Epc): coinvolgono società di servizi energetici (Esco) che investono nei progetti di efficientamento energetico e vengono remunerate attraverso i risparmi ottenuti; – Partenariati pubblico-privato (Ppp): questi accordi possono facilitare la collaborazione tra enti pubblici e privati, condividendo rischi e benefici dei progetti. Un altro aspetto fondamentale riguarda la raccolta e la gestione delle informazioni. I comuni devono mantenere una documentazione aggiornata su patrimonio, consumi e aree idonee per l’installazione di impianti energetici. Questo aiuta a pianificare in modo efficace e a identificare le migliori opportunità per lo sviluppo delle comunità energetiche. Spesso, il collo di bottiglia si verifica nella rete di distribuzione. Per questo, evidenzia il documento, è necessario sviluppare un masterplan solido che integri gli interventi di efficientamento energetico e l’installazione di impianti da fonti rinnovabili nei piani di programmazione comunale. Questo approccio assicura che le comunità energetiche non siano iniziative isolate, ma parte di una strategia più ampia e integrata. Il pubblico che incontra il privato e viceversa.  Affinché il ricorso alle comunità energetiche non sia un fatto episodico ma la tessera di una strategia più generale, è cruciale che i comuni elaborino strumenti di pianificazione integrata. Il consiglio del vademcecum è di integrare questi strumenti di efficientamento energetico all’interno di una visione più ampia dello sviluppo territoriale, considerando anche altre priorità come l’urbanizzazione sostenibile, la gestione delle risorse idriche e la mobilità verde.  In diversi paesi europei sono già presenti Cer particolarmente evolute che prevedono la partecipazione di gran parte dei soggetti che appartengono alla Comunità. In Italia però non esiste una mappatura ufficiale dei diversi modelli di comunità che tengono insieme gli aspetti di sostenibilità ambientale, sociale e di partecipazione. NeXt Economia, insieme all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha provato a dare dei numeri a questo fenomeno mettendo a punto la prima piattaforma italiana sulle Cer. L’obiettivo è quello di creare un database open source, dove mappare, connettere e valorizzare i diversi modelli di Comunità energetiche rinnovabili che si stanno sviluppando lungo la penisola. I processi di attivazione che portano alla costituzione delle Cer analizzate vedono un forte protagonismo di cittadini e cittadine, associazioni del terzo settore e piccole imprese locali. Prevale quindi una forte dimensione orizzontale nella struttura decisionale ed organizzativa, in perfetta ottica Esg. La stragrande maggioranza delle Cer intervistate (90%) si costituiscono in forma di associazione non riconosciuta, il 10% in forma cooperativa e sono composte da 10 a 50 soggetti (cittadini, associazioni Ets, piccole imprese e, raramente, enti locali). Nelle Cer analizzare, la fonte energetica è quasi sempre solare (99% dei casi), così come emerge che molte delle realtà ancora non hanno realizzato gli impianti perché ritengono il quadro normativo troppo incerto. Inoltre, negli statuti e nei regolamenti adottati non sono state indicate forme di valutazioni d’impatto sulle ricadute sociali, ambientali ed economiche generate dai benefici prodotti dagli incentivi. L’80% delle Cer intervistate si definisce “Cers” Comunità energetica rinnovabili e solidali /sociali: comunità che decidono di reinvestire tutti o parte dei benefici generati dalla vendita dell’energia (e/o dagli incentivi derivati dalla condivisione dell’energia) in progetti ad alto impatto sociale, solidale, ambientale e socioeconomico. Il 5% della Comunità si definisce Ceris, Comunità energetiche a impatto sociale dato che oltre al beneficio sociale previsto per il territorio di intervento prevedono anche la valutazione e la misurazione dell'impatto stimato e generato concretamente per la comunità locale e il territorio. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)