E se Renzo Rosso mettesse in vendita il Vicenza? L’ipotesi era circolata nei social: i tifosi meno ultrà si erano preoccupati per la caterva di critiche e di accuse rivolte da quelli più arrabbiati, che poi erano la maggioranza, a Mister Diesel e scrivevano post accorati paventando un addio.
Non credo che ciò accadrà e per più ragioni. La prima è che ne deriverebbe un brutto colpo per la sua immagine e sono sicuro che RR non ha nessuna voglia di accollarsi un “Lanexit” che gli farebbe fare la figura del perdente. E lui, giustamente, all’immagine ci tiene.
Un altro buon motivo è la mancanza di acquirenti. Si fa presto a dire vendo ma il difficile è trovare chi compra. E il LR Vicenza non sembra, soprattutto in questo momento, molto appetibile.
Non lo è certo economicamente e ciò sia per i problemi generali del calcio italiano come il crollo dei ricavi dal botteghino, le perdite accumulate nelle due stagioni Covid, il mancato rinnovo degli stadi, sia per tare specifiche del calcio vicentino. A cominciare dai vent’anni di astinenza di Serie A, di campioni, di spettacolo: c’è ancora sicuramente un grande amore per i colori biancorossi ma è innegabile che il “bacino d’utenza” del tifo si è progressivamente ridotto perché la provincia non dà più spettatori come una volta, perché il pubblico fidelizzato invecchia e i ricambi generazionali non sono sufficienti, perché l’interesse è inevitabilmente in declino.
La spettacolarizzazione del prodotto calcio tramite televisione ha provocato un dirottamento dell’attenzione verso altri campionati e verso le squadre italiane che partecipano alle Coppe. E poi, onestamente, nel confronto con il calcio delle altre piazze, quello biancorosso ne esce battuto. È sempre più difficile tenere alta la passione dopo anni di ripescaggi, retrocessioni, fallimenti, delusioni.
La mancanza di compratori è anche il riflesso del cambiamento in atto in Italia nel panorama dei proprietari dei club. Otto società di Serie A e quattro di B sono state acquistate da fondi esteri che hanno una capacità di investimento che non ha pari nelle tradizionali proprietà del nostro calcio. È finito il tempo dei presidenti alla Moratti o alla Berlusconi, imprenditori di livello internazionale ma legati ai propri gruppi industriali e alle loro fortune.
Ancora più obsoleto è il modello delle società in mano a “cordate” o a pluralità di soci. Renzo Rosso è, per sua capacità e fortuna, un grande imprenditore e uno degli uomini più ricchi d’Italia ma non può (e credo nemmeno vuole) competere con i nuovi soggetti che stanno entrando nel nostro calcio con mezzi illimitati.
E allora a chi vendere il Vicenza? Impensabile contare sulla sensibilità dell’imprenditoria locale, che ha dimostrato all’epoca del fallimento di non aver perso il vecchio vizio di starsene alla finestra. Ci sarebbero i famosi soci di minoranza assoldati due anni fa ma sembrano scomparsi dalla vita della società e, comunque, anche ammesso che possa funzionare una proprietà diffusa, comunque non sembrano figure in grado di accollarsi i rischi e gli oneri collegati all’acquisto da parte loro delle azioni OTB.
Allora un acquirente non vicentino, forse. Potrebbe essere un fondo di investimento? Difficile capire se Vicenza sia ancora una piazza che può interessare, anche in prospettiva. Vero che sono finiti in mano di “investment fund” anche club come lo Spezia che, senza offesa, non ha certo lo spessore del Vicenza, ma c’è da chiedersi se qui ci sono davvero le premesse per ottenere i ricavi che conseguono agli investimenti. Per riportare il Vicenza in Serie A servono veramente tanti milioni e non poco tempo e i fondi hanno i soldi ma non tutta questa pazienza. L’azionariato popolare resta un’ipotesi già sperimentata e fallita a Vicenza e non è, in ogni caso, vicino alla mentalità del tifoso italiano, che pretende che il presidente cacci i soldi a prescindere ed è disposto a partecipare personalmente alle sorti della squadra del cuore comprando al massimo l’abbonamento o la replica della maglia.Renzo Rosso sarà quindi, per così dire, costretto a tenersi il Vicenza. Certo, il famoso piano quinquennale è da rivedere visto che siamo al quarto anno e, salvo miracoli, nemmeno questa sarà la stagione della promozione. Il problema è che, dopo quest’avvio disastroso di campionato, deve davvero decidere cosa vuol fare della squadra.