Sergio Rebecca, presidente di Confcommercio Vicenza, interviene in un comunicato su un tema di attualità sociale e politica, cioè carenza di personale, soprattutto nel settore ristorazione e turismo. E dice “ci sono dei meccanismi riguardanti le politiche attive per il lavoro che devono essere rivisti”. La carenza di personale da inserire negli organici delle imprese è un problema presente anche nel settore commercio turismo e servizi del Vicentino. Lo confermano anche i dati elaborati ma non ancora definitivi dell’Osservatorio economico occupazionale del terziario, sulla base di una recente indagine condotta da Confcommercio Vicenza e dall’Ente Bilaterale del Terziario della provincia di Vicenza: nel primo semestre 2021 il 36% circa delle 600 aziende intervistate conferma di essere alla ricerca di personale e il 75% di quest’ultime manifesta difficoltà a reperirlo; tale percentuale sale all’85% se il settore di provenienza è quello della ristorazione e del turismo.
“La pandemia di Covid ha avuto ripercussioni economiche gravi per le imprese del nostro comparto – conferma Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza-, soprattutto ha messo in serie difficoltà le attività della ristorazione, i bar, costretti a chiudere, aprire, per poi richiudere o limitare l’attività al rispetto delle restrizioni; così come i negozi, per non parlare del settore delle palestre e delle discoteche. Queste attività, hanno sofferto sia la mancanza di incassi che l’incertezza del periodo e parte del personale, nel corso dell’anno e mezzo di pandemia, ha cercato di ricollocarsi in altri comparti. Le nostre imprese hanno, quindi, perso lavoratori spesso con professionalità ed esperienza maturate negli anni, figure che oggi è molto difficile sostituire, anche perché non ci sono lavoratori disponibili. Si tratta quindi di un’evidente problema che si aggiunge a quelli conseguenti alla pandemia e che in molti del nostro settore hanno affrontato facendo affidamento più sulla loro resilienza che sugli aiuti dello Stato”.
Nell’attuale fase, in cui le imprese della ristorazione, dell’ospitalità, del commercio e servizi, stanno gradualmente tornando alla normalità, mancano soprattutto camerieri, cuochi, baristi, ma anche personale di cucina, addetti al ricevimento, ai servizi wellness, alle pulizie negli hotel. “La carenza riguarda per lo più i lavoratori stagionali – constata il presidente di Confcommercio Vicenza – ma, in generale, possiamo tranquillamente dire che non c’è la corsa a cercare lavoro nei nostri settori. Va detto che c’è chi ora percepisce un sostegno statale, un sussidio che è sì inferiore allo stipendio proposto, ma permette di non lavorare, non prestare servizio il sabato e la domenica come invece è richiesto, spesso, nei nostri settori, non spostarsi per andare a lavorare. E’ evidente, quindi – sottolinea Rebecca, citando senza nominarlo il reddito di cittadinanza– che ci sono dei meccanismi riguardanti le politiche attive per il lavoro che devono essere rivisti, se davvero si vuole limitare il fenomeno della disoccupazione e – aggiungo – elargire i vari sussidi di assistenza statali a chi effettivamente ne ha bisogno. E’ inaccettabile aver a che fare con lavoratori che decidono di rifiutare le proposte lavorative per non perdere i soldi del reddito o chiedono di essere pagati in nero sempre per non rinunciare al sussidio statale. Serve al Paese – sottolinea Rebecca – un’urgente quanto necessaria riforma che faciliti l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed elimini gli effetti distorsivi degli ammortizzatori sociali”.
In quest’ambito il sistema Confcommercio, che annovera la FIPE, Federazione Italiana Pubblici Esercizi e Federalberghi, ha chiesto di attivare al più presto il monitoraggio delle offerte di lavoro che un soggetto riceve e rifiuta, che in Italia attualmente non esiste. Secondo tale proposta, all’ennesimo rifiuto di un’offerta di lavoro, dati alla mano, come accade in altri Paesi europei, si dovrebbe procedere con il far decadere in tutto o in parte il diritto al reddito di sussistenza che, diversamente, prenderebbe nel tempo la consistenza di pensione a vita per chi non lavora.