Le ripercussioni della pandemia sul sistema economico e sul mercato del lavoro sono evidenti e continueranno a farsi sentire per i mesi a venire. Non mancano però i segnali positivi, che aprono uno spiraglio e lasciano presupporre una ripresa dopo la tempesta Covid. Secondo i dati pubblicati da Veneto Lavoro, che fornisce periodicamente le quantificazioni dell’impatto della pandemia sulla dinamica del lavoro nelle aziende private in Veneto, nei mesi di giugno e luglio 2021 le assunzioni sono state superiori ai valori registrati negli stessi mesi del 2019. In generale, nel II trimestre del 2021 si contano oltre 151mila assunzioni, il 66% in più del valore rilevato nello stesso periodo dell’anno
scorso, ma ancora il 12% in meno di quello registrato nel II trimestre del 2019. La ripresa è imputabile numericamente ai contratti a tempo determinato, a lungo penalizzati dalle misure restrittive imposte per arginare la diffusione dei contagi. Fra i settori economici, i servizi hanno assunto l’83% del personale in più di quello assunto nel secondo trimestre del
2020: in particolare, i servizi turistici hanno dato lavoro al doppio delle persone rispetto all’anno precedente (+106%), nonostante un avvio di stagione in ritardo rispetto allo standard pre covid. Anche il settore dell’industria è piuttosto dinamico, mentre l’agricoltura
fatica a riprendersi dallo shock pandemico: lo stock delle assunzioni nel periodo aprile-giugno dell’anno in corso si mantiene inferiore sia al 2019 sia al 2020.
Prima dell’emergenza sanitaria, il mercato del lavoro nella nostra regione registrava una buona performance. Occupazione in crescita, disoccupazione in calo: uno scenario che lasciava intravedere un consolidamento della ripresa in atto dopo la crisi economica iniziata nel 2008. Il Covid-19 ha stravolto queste dinamiche, andando a sconvolgere tutte le componenti in gioco: nel 2020 in Veneto gli occupati diminuiscono (-2,4% rispetto al 2019) e i disoccupati e inattivi aumentano (rispettivamente, +0,2% e +5,3%). Il segnale più
allarmante è sicuramente la crescita della componente inattiva, soprattutto fra le donne (+6,3%): una persona disoccupata, infatti, è alla ricerca attiva di lavoro ed è disposta a lavorare appena la ricerca va a buon fine. L’inattivo, invece, ha smesso di cercare lavoro perché pensa di non riuscire a trovarlo oppure perché non si trova nelle condizioni di accettarlo se gli venisse offerto. La pandemia ha quindi scoraggiato alcuni lavoratori e
impedito ad altri di entrare nel sistema: per le donne, i compiti di cura di bambini e anziani sono stati accentuati durante il lockdown, costringendole ad allontanarsi dal mercato del lavoro.
Fra tutti i lavoratori, i più colpiti sono stati i precari: nella nostra regione gli occupati a tempo determinato in un anno sono diminuiti dell’11%, mentre quelli a tempo indeterminato sono leggermente cresciuti (+0,9%). A pesare sono le mancate assunzioni dei lavoratori stagionali in quei settori colpiti duramente dalle restrizioni imposte, primo fra tutto il comparto dei servizi turistici. Strumento fondamentale per far fronte all’emergenza sanitaria è stato lo smartworking: in tempi strettissimi, Scuola, Università, imprese, Pubblica Amministrazione, hanno dovuto dare corso a quella rivoluzione più volte
discussa, ma sempre rimasta un’esperienza marginale seppur evocata come strumento utile a migliorare la conciliazione famiglia-lavoro e a ridurre gli spostamenti. Nel 2019 solo il 5% dei lavoratori, per la maggior parte liberi professionisti o autonomi, avevano svolto a casa parte della propria attività lavorativa: questo valore sale all’11% nel 2020. Fra i lavoratori dipendenti si passa da meno del 2% al 9%. Per il tipo di lavoro
svolto nel 2020 gli occupati più coinvolti nello smart working sono stati i profili medio alti, personale laureato o che svolge professioni ad elevata specializzazione. Fra i settori più “agili”, troviamo chiaramente quello dei servizi Ict e delle attività finanziarie e assicurative.
Per altri lavoratori lo smart working è difficilmente applicabile e molte aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni per limitare gli effetti della pandemia. In Veneto
nel 2020 sono state autorizzate oltre 344milioni di ore, quando in tutto il 2010, anno durante il quale la crisi economica è stata più dura, ne erano state concesse
meno di 125milioni.
Solo ad aprile 2020 sono state autorizzate più ore del triennio 2017-2019. Nei mesi
successivi il ricorso alla cig non ha più raggiunto tale picco e l’andamento è stato molto altalenante, seguendo in parte le misure emergenziali disposte dai decreti governativi per limitare gli effetti avversi della pandemia sull’economia nazionale.