Con un format di una rubrica di approfondimento che inauguriamo oggi e che prevede che lo spunto per la discussione parta da “certe” canzoni (oggi “Vedrai com’è bello” e “Ingranaggi” del veneziano Gualtiero Bertelli) vogliamo affrontare la questione che riteniamo tra le più importanti del nostro paese e della vita stessa, il lavoro. Oggi è in atto una sorta di restaurazione, un tornare indietro rispetto ai diritti e alle garanzie che i lavoratori hanno conquistato in decenni di lotte. Il lavoro è diventato sempre più precario (la vita stessa è diventata, anche per questo, precaria), mal pagato e insicuro.
Alcuni diritti fondamentali sono stati, di fatto, cancellati (pensiamo all’articolo 18 solo per fare un esempio). Tutto in nome della “competitività” e del profitto. Ma ci troviamo di fronte a quella che può essere una svolta. Ci riferiamo alla cosiddetta quarta rivoluzione industriale, alla robotica, all’informatica, alla digitalizzazione … un’innovazione tecnologica (e non solo) che sarebbe antistorico fermare.
La questione aperta da questi nuovi strumenti e metodi di produzione e di trattamento delle informazioni è relativa al loro utilizzo e a chi vanno i benefici che si possono raggiungere. Se questi vanno unicamente a incrementare i profitti “padronali” o se, invece, servono a chi vive del proprio lavoro in una specie di “profitto collettivo” che significa lavorare meno, meglio, in sicurezza, con retribuzioni che permettano un maggiore benessere.
Creando un lavoro che non sia una “condanna alla fatica” ma un mezzo per la crescita individuale e collettiva, sociale e culturale di chi vive del proprio lavoro. E’ ovvio che il ruolo dello Stato diventa fondamentale e che si dovrà ricominciare a parlare di socializzazione dei mezzi di produzione.
Una scelta, una lotta dalla quale dipende il futuro di ognuno.