Le mafie, dalle radici agricole alla globalizzazione

99
Le mafie. Le origini
Le mafie. Le origini

(Articolo sulla storia delle mafie da Vicenza PiùViva n. 296, sul web per gli abbonati, acquistabile in edicola in versione cartacea).

L’evoluzione della criminalità organizzata italiana e i suoi costi sommersi: qualche flash di conoscenza.

La criminalità organizzata è uno dei fenomeni che più ha segnato la storia italiana.
Le sue varie declinazioni, conosciute da tutti sotto il termine ombrello “mafia”, si sono trasformate nel corso dei decenni da organizzazioni rurali e clientelari in reti criminali transnazionali dall’impatto economico e sociale enormemente complesso. Se all’inizio il potere mafioso si concentrava nel controllo del latifondo attraverso pratiche di estorsione e violenza, oggi le mafie sono diventate imprese, che attraverso una veste “finanziaria” sono riuscite ad infiltrarsi nella società “legale”. Accanto ai profitti visibili, come quelli derivanti dal traffico di droga, estorsioni e usura, si celano costi sommersi che gravano sul sistema economico nazionale, aggravando la concorrenza, distorcendo il mercato e indebolendo lo sviluppo sociale.

Briganti e carabinieri
Briganti e carabinieri

La parola mafia

Il termine “mafia” nasce in Sicilia nel 1862, comparendo in un’opera teatrale ambientata nelle carceri di Palermo. Il termine indicava inizialmente un atteggiamento di spavalderia e fierezza, anche se si è presto evoluto per parlare di associazione criminale il cui obiettivo ultimo era il controllo del territorio. Nel 1865, fu un rapporto del prefetto di Palermo Filippo Antonio Gualtiero a definire la mafia come un’“associazione malandrinesca”, segnando così l’inizio della percezione del fenomeno come violenza organizzata. Inizialmente, la parola “mafia” veniva utilizzata per indicare la criminalità organizzata siciliana “Cosa nostra”.
Tuttavia, nel corso del tempo la parola ha acquistato un significato generale comprendendo anche le altre organizzazioni criminali italiane – come la ‘Ndrangheta calabrese, la Camorra napoletana o la Sacra corona unita pugliese – fino anche alle organizzazioni criminali internazionali. Ciò che distingue “le mafie” sono le caratteristiche intrinseche a tutte: l’ampia disponibilità di denaro, una struttura organizzativa gerarchica e consolidata e la pratica della corruzione per acquisire potere.

Le origini del fenomeno mafioso, dal Medioevo alle prime fratellanze

Le origini della mafia, secondo lo storico Salvatore Lupo, si intrecciano con le spinte anti-borboniche siciliane e quindi il risorgimento italiano. Lupo ipotizza che figure chiave del risorgimento siciliano come Francesco Bentivegna (che guidò un’insurrezione antiborbonica) e Giovanni Corrao (che fu tra i mille di Garibaldi), probabilmente “si siano rapportati, lungo il loro percorso, anche ad elementi definibili come proto-mafiosi”. In questo senso, sostiene Lupo, ci sono molti punti di contatto tra la nascita della mafia e l’esperienza rivoluzionaria. Infatti, nel periodo risorgimentale la frammentazione delle autorità ha fortemente contribuito a rafforzare i gruppi di controllo del territorio, chiamati “campieri”
o “gabbellotti”, che già operavano in Sicilia e che mettevano “in contatto” contadini e latifondisti: erano uomini di fiducia che riscuotevano le «gabelle», una sorta di tasse.
Questo sistema clientelare si è così radicato nel tempo da intrecciarsi con la politica locale, e in questo modo ha ottenuto protezione, garantendo voti ai candidati favorevoli agli interessi mafiosi.

L'occupazione delle terre incolte in Sicilia
L’occupazione delle terre incolte in Sicilia

Dalla campagna alle città, ovvero il consolidamento del potere mafioso

Nel corso del Novecento, la mafia si è reinventata, per poter sfruttare le enormi trasformazioni del secolo. Le organizzazioni criminali hanno vissuto un periodo di durissima repressione durante il ventennio fascista, grazie al lavoro del prefetto Cesare Mori – il prefetto di ferro – che costrinse molti boss all’esilio. È in questo momento che molti boss raggiungono gli Stati Uniti. Nel dopoguerra, comunque, la mafia è tornata a prosperare, un po’ perché alcuni mafiosi erano con il tempo riusciti a integrarsi nel regime, un po’ a causa della crisi economica e della mancanza di opportunità, che spinsero molti giovani a cercare aiuto nelle cosche mafiose. Allo stesso tempo, la ricostruzione del Paese negli anni ‘50 e ‘60 ha favorito l’ingresso dei mafiosi nel settore pubblico. Il nuovo terreno di conquista furono gli appalti pubblici, soprattutto per quanto riguarda la speculazione edilizia, che garantiva una nuova forma di riciclaggio dei proventi illegali.
La nuova vocazione edilizia delle organizzazioni criminali fu anche il motivo per cui si spostarono proprio in quegli anni dalle campagne alle città. In questi anni inizia anche ad alzarsi il livello di violenza. Le organizzazioni criminali iniziano una serrata competizione per il controllo dei traffici illeciti – tipo il narcotraffico – ma anche scontri interni per il controllo del potere. Questo periodo, nel caso di Cosa Nostra, ha significato una vera e propria guerra di mafia in cui vennero assassinati centinaia di mafiosi. La prima guerra di mafia è culminata con la strage di Ciaculli, che costò la vita a sette agenti e dove venne usata per la prima volta un’autobomba, che diventerà negli anni a venire una delle armi preferite delle organizzazioni mafiose. È doveroso ricordare che sebbene le organizzazioni mafiose si siano spostate verso le città in questi anni, esse non hanno mai realmente abbandonato le campagne, come è testimoniato anche dal fenomeno del caporalato. Nel 2019, in occasione della 24esima Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, l’associazione Libera ha inserito proprio le vittime di caporalato tra i nomi delle vittime di mafia. Tra questi, anche le cinque braccianti agricole di Ceglie Messapica morte tra il 1980 e il 1991, che persero la vita in incidenti stradali mentre viaggiavano accalcate le une sulle altre su pulmini che le stavano conducendo nei campi. Una morte identica a quella dei 15 braccianti agricoli, deceduti in provincia di Foggia nell’estate 2018, anch’essi ricordati come vittime innocenti.

Le guerre di mafia, la crescita della violenza, i pentiti e la svolta antimafia

Gli anni tra i ’70 e i ’90, probabilmente quelli più significativi nella memoria collettiva, furono ancor più caratterizzati dalla violenza, anche contro lo Stato.
Risale a quegli anni la seconda guerra di mafia, sempre in Cosa Nostra, dove la fazione dei Corleonesi, sotto la guida di Salvatore Riina, prese definitivo controllo dell’organizzazione siciliana. È in questi anni che il contrasto statale raggiunge il suo apice, grazie all’azione di politici come Pio La Torre che, sotto la spinta di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con la legge n. 646 del 13 settembre 1982, nota come legge “Rognoni-La Torre”, introdussero per la prima volta nel codice penale il reato di “associazione di tipo mafioso” (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali. Inoltre, il lavoro dei due magistrati condusse al maxiprocesso contro la mafia che tra il 1986 e il 1987 portò alle condanne di centinaia di mafiosi. La risposta mafiosa fu brutale. La Torre, Falcone e Borsellino furono tutti assassinati in attentati che sono rimasti nella memoria collettiva dell’Italia intera, come quelli contro tanti altri politici, giornalisti, poliziotti e magistrati che avevano sfidato il potere mafioso. Nonostante tutto, le azioni statali portate avanti dall’antimafia, hanno rappresentato un punto di svolta, dimostrando che la struttura piramidale della mafia poteva essere smantellata. Decisivo fu anche il contributo dei “pentiti”, come Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno.
Le loro confessioni permisero di mappare l’organizzazione interna della mafia, rivelando le regole, le gerarchie e i rituali che avevano assicurato il silenzio per decenni. In questi anni decisivi prese forma non solo l’antimafia di tipo giudiziario, ma anche quella di impronta civile, un vero e proprio movimento sociale portato avanti da familiari delle vittime e dalla società civile tutta. Un po’ dappertutto nacquero associazioni e reti di associazioni, tra cui nel 1995 “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” per iniziativa di don Luigi Ciotti, prete torinese, e di esponenti sia della politica istituzionale, come l’ex presidente della Commissione antimafia Luciano Violante, ma anche come il giudice Caselli e familiari delle vittime di mafia, tra cui Rita Borsellino. Le battaglie di Libera tentano di offrire delle prospettive di sviluppo, grazie anche a importanti proposte di legge, come quella per la destinazione a fini sociali dei beni confiscati, proposta sostenuta, tra l’altro, con un milione di firme e approvata dal Parlamento nel febbraio 1996.

La strage di Capaci
La strage di Capaci

Il nuovo modello globale, il periodo della mimetizzazione

Con l’avvento del nuovo millennio, la mafia italiana si è dovuta reinventare, anche perché i grandi omicidi degli anni ‘80 e ’90 avevano scosso profondamente l’opinione pubblica. La “strategia della sommersione”, che prevede la mimetizzazione delle attività mafiose nella società, ha consentito alle organizzazioni criminali di operare in maniera più discreta, sfruttando la tecnologia (chat criptate, telefoni smuggolati –alias di contrabbando –in carcere, ecc.) per comunicare e coordinare le loro attività a livello globale. Nel nuovo millennio, le mafie italiane, in particolare Cosa Nostra, la ‘Ndrangheta e la Camorra, hanno abbandonato in parte l’uso della violenza eclatante, optando per strategie di infiltrazione nell’economia legale. Il modello si basa su investimenti in settori strategici, come gli appalti pubblici, il settore immobiliare e il mercato finanziario. La ‘Ndrangheta, ad esempio, è oggi la più potente tra le mafie italiane, con un giro d’affari stimato pari al 2-3% del PIL italiano e una presenza globale, soprattutto nel traffico dellaa droga. Anche la Camorra, pur operando principalmente nel sud, ha saputo estendere la propria influenza in settori come lo smaltimento dei rifiuti e le infiltrazioni nei mercati pubblici. Queste trasformazioni hanno permesso alle mafie di diventare “invisibili”, mimetizzandosi all’interno della società civile e riciclando denaro sporco attraverso complessi circuiti finanziari, spesso basati su conti offshore e prestanome.

I costi sommersi della mafia: un impatto invisibile ma devastante

Oltre ai guadagni illeciti visibili, le mafie generano costi nascosti che hanno pesanti ripercussioni economiche, sociali e ambientali.
In primis, le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici e nelle imprese creano un ambiente in cui la concorrenza è distorta. Infatti, le imprese “pulite” devono fronteggiare costi maggiori per poter accedere a prestiti e investire in sicurezza. Inoltre, non è da sottovalutare la maggiore spesa pubblica dovuta alla presenza delle organizzazioni criminali. L’indispensabile repressione del fenomeno comporta costi economici elevati per lo Stato, che incidono significativamente sul bilancio pubblico. Non di meno, le infiltrazioni nei settori dell’edilizia hanno portato alla realizzazione di opere pubbliche e private costruite con materiali di scarsa qualità, come il cemento depotenziato. I costi dei crolli e delle successive riparazioni pesano sulla comunità. Altrettanto impattante a livello sociale è il degrado ambientale e di salute associato allo smaltimento illecito di rifiuti tossici, il cui caso più eclatante è la Terra dei Fuochi in Campania. Secondo un’indagine del 2023 della Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato (CGIA), il business mafioso vale quasi 40 miliardi l’anno – circa il 2% per del PIL italiano. Dati forse addirittura sottostimati.