Da circa 20 anni le statistiche Istat ed Eurostat disegnano un quadro sconfortante per la crescita italiana, specie in raffronto a quella degli altri Paesi dell’Unione europea.
Il pil pro capite è cresciuto in 20 anni di circa il 2%; oltre 10 volte meno che in Germania e Spagna.
Le cause si ravvisano solitamente nell’eccessiva pressione fiscale e nelle inefficienze della p.a. e del sistema giudiziario.
Ma c’è un’altra ragione che rende il Paese meno competitivo.
L’Italia è oggi meno capace di creare crescita e sviluppo anche per la mancanza di qualificazione dei lavoratori, che limita la capacità di adattamento alle innovazioni produttive e quindi la capacità di crescita del sistema produttivo.
L’Italia fonda la sua base produttiva su piccole e medie aziende (PMI) che, presenti su tutto il territorio nazionale, costituiscono oltre il 75% delle aziende. Le PMI spesso non hanno la forza economica e organizzativa per investire in “formazione del personale”, che, oltre ad essere onerosa, assorbe tempo dalle risorse produttive presenti in azienda. Quindi si preferisce continuare a produrre come si è sempre fatto, piuttosto che rallentare la produzione per migliorare le capacità produttive dei lavoratori necessaria ad aumentare la produttività.
Un cane che si morde la coda.
Già dal 1994 l’Unione europea ha avviato diverse iniziative per la formazione continua dei lavoratori in Europa: i programmi di lifelong learning.
Questi vertono a garantire adeguata formazione e aggiornamento costante delle risorse produttive europee per garantire le competenze e abilità professionali necessarie per la crescita europea e per competere con il resto del mondo.
Il lifelong learning è essenziale anche per motivare i dipendenti a continuare la loro crescita sul lavoro e per superare eventuali periodi di crisi di settore, riqualificando i lavoratori con possibilità di agevole trasferimento in altri ambiti produttivi.
La Germania e la Spagna hanno fatto ampio uso dei fondi europei per la riqualificazione professionale dei lavoratori e questo, nel lungo periodo, ha dato importanti risultati misurabili con una notevole crescita di produttività.
I fondi europei per la riqualificazione professionale sono disponibili anche per l’Italia attraverso i Fondi Sociali Europei.
Il nostro Paese però non ha utilizzato i fondi con le stesse modalità di altri paesi. Sono stati nella larga maggioranza trasferiti alle organizzazioni sindacali, che li hanno utilizzati più per il loro funzionamento che per la formazione professionale. Una battuta ricorrente da parte di persone che avevano frequentato questi corsi organizzati dai sindacati è che «i corsi servono a chi li organizza per avere un posto di lavoro piuttosto che a chi li frequenta per imparare qualcosa».
È una delle opportunità offerte dall’Unione europea che non sono colte.
È indispensabile rivedere le modalità di utilizzo dei fondi disponibili attraverso i Fondi sociali europei per la formazione dei lavoratori. Questi corsi di formazione dovranno coinvolgere veri esperti, anche stranieri, delle materie che si intendono studiare; devono essere fruibili anche online h24-7/7 e devono prevedere dei test finali reali per misurare il livello effettivo di competenze acquisite.
Non possiamo continuare a sprecare occasioni formative.
Non possiamo permetterci il lusso di una produttività bassa conseguente alla scarsa qualificazione della forza lavoro.
Occorre prevedere per tutti i lavoratori, specie delle PMI, dei percorsi formativi per il settore produttivo in cui sono coinvolti per provare ad agganciare quella crescita che da troppi anni è assente nel nostro Paese.