A volte la vita ci fa delle sorprese a loro modo strabilianti.
E’ il caso che è successo a me poco tempo fa.
A metà aprile, con un WhatsApp di prima mattina, la diacona della chiesa valdese di Firenze, che si occupa anche della spedizione del bimestrale della chiesa, mi chiedeva se mi dicesse qualcosa il nome di Marcella B (nome di fantasia). Questa signora le aveva chiesto di mettermi in contatto con lei se la mia risposta fosse stata affermativa (aveva letto il mio nome in calce a un articolo comparso sulla rivista, e lo aveva riconosciuto come quello di una sua compagna di scuola delle elementari).
Eccome se era affermativa! E anche gioiosa.
Perché bisogna sapere che questo incontro, che si realizzò per telefono e così continua ancora, nella difficoltà di viaggiare con le temperature proibitive per persone della nostra età, avviene dopo 67 anni (sì, avete letto bene, SESSANTASETTE) dall’ultima volta che ci siamo viste.
Che fu proprio nel giugno del 1955, quando finimmo la scuola elementare e facemmo l’esame di ammissione alla scuola media. Dove poi ci separammo, perché lei andò nella sezione con lingua straniera “inglese”, che cominciava proprio allora ad affermarsi, e io, invece, andai in una sezione di “francese”.
Poi, alle superiori, prendemmo ancora strade diverse: lei andò al liceo classico; io, invece, per decisione indiscutibile (per quanto ragionevole e razionale), ma per me dolorosa, della mia mamma, andai all’istituto magistrale che allora durava solo quattro anni, così che io, sommando questo guadagno con quello di aver cominciato la scuola un anno avanti, sarei potuta andare a fare la maestra elementare a 17 anni e mantenermi con le mie forze. Questo il suo progetto. Ma qui, a 17 anni, per la prima volta in vita mia, dissi “No, e poi no!”, e la spuntai. Così andai all’Università – Magistero, perché era l’unica facoltà praticabile per chi veniva dalle magistrali.
E c’è anche un’altra cosa. Fra le cinque o sei compagne delle elementari, con cui avevo un rapporto un pochino più stretto tanto da invitarci scambievolmente alle festicciole di compleanno, proprio Marcella era l’unica che mi tornava in mente per prima, quando i ricordi andavano nella direzione dell’infanzia.
Forse perché c’era una particolarità – il suo babbo era un musicista e, quando noi bambine invitate per il compleanno di Marcella eravamo a casa sua, lui arrivava verso le cinque e mezzo e si metteva al pianoforte, suonandoci un po’ di musica adatta alla nostra età.
E forse c’è ancora un altro particolare, tutto sommati più importante – Marcella ed io eravamo, pur su piani differenti, due persone “diverse”; lei “diversa” perché protestante e quindi esonerata dall’insegnamento della religione cattolica, con tutto quello che ciò comportava, perché all’epoca vigeva ancora l’obbligo di iniziare le lezioni con la recita di qualche Ave Maria. Io “diversa” perché molto vivace (decisamente troppo per l’epoca), e per questo non ero ben vista dalla stessa maestra (classe 1894!), che ebbi dalla seconda in poi (la prima classe l’avevamo fatta tutte e due in una scuola privata, senza cornice religiosa, e con una maestra molto accogliente che non ebbe mai niente da dire sul mio comportamento, anche perché io ho sempre ricambiato l’accoglienza con molta gratitudine).
Insomma, per tornare a bomba, ci siamo messe in contatto telefonico. Lei ha un cellulare che riceve e invia solo SMS, e ha difficoltà anche nella lettura di essi, per non parlare dell’invio di un suo SMS. Proprio non li manda.
Quello che riesce a fare è riconoscere, forse, il numero (non sa usare neppure la Rubrica) e chiamarmi quando le mando un SMS, anche perché le dico chi sono. Da una parte mi meraviglio di questo, perché penso che ha la mia età, che non è verde, d’accordo, ma forse, mi dico, un piccolo sforzo lo potrebbe fare. In fondo ha svolto una libera professione, ha insegnato in un istituto superiore … ma di diavolerie così moderne non ne vuole proprio sapere. Evviva la libertà! Che io, logicamente, rispetto in pieno. E anche con parecchia tenerezza. E così, con lei, sono io, in certo qual modo, a sentirmi strana.
Comunque, in queste telefonate ci siamo raccontate stralci di vita, e ora siamo in attesa di aggiornarci sul nostro aspetto fisico che sarà un po’ cambiato, penso, da quello della fotografia di gruppo del 1953, che mostra due personcine dall’aria forse un pochino smarrita. E può darsi che lo smarrimento, dati i tempi che corrono, possa essere l’unica costante che si mantiene anche oggi.
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Fonte: Le sorprese della vita