Le dinamiche politiche, economiche, e finanziarie degli ultimi decenni hanno prodotto un processo di forte concentrazione nelle mani di pochi di quote crescenti di ricchezza, di potere decisionale, di capacità di allocare le risorse pubbliche. Anche l’editoria ha seguito queste dinamiche. Anche l’informazione, al netto delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, ne risente pesantemente. Il fenomeno, in Italia molto più che altrove, è una vera patologia per la totale mancanza in ambito nazionale, o l’assoluta rarità in quello locale, di editori “puri”, ovvero imprenditori non mossi da interessi in altri campi produttivi, economici o finanziari.Purtroppo il caso italiano tipico è quello di gruppi imprenditoriali con interessi in molti, svariati, settori, rispetto ai quali il prodotto editoriale è meramente strumentale, spazio tentacolare di condizionamento e d’influenza non solo sui propri affari ma su quelli degli altri, con effetti dirompenti sul libero sviluppo delle relazioni e del mercato.
A Vicenza, realtà industriale tra le primissime del paese, anche l’editoria locale meglio radicata riproduce per intero questo vizio.
I risultati sono, ogni giorno, sotto gli occhi di tutti.
Se ciò non bastasse, perfino nel periodo più sensibile per la democrazia, come quello elettorale, le distorsioni sono evidenti.
E ciò non tanto per quanto attenga al formale rispetto delle norme di “par condicio” (dettate dalla famosa legge 28 del 2000) in tema di accesso ai messaggi politici elettorali (parità di tariffe, trasparenza di procedure, ecc…) quanto in riferimento all’informazione, quella che, in difetto di una vera coscienza civile e democratica, potrebbe trovare l’unica tutela veramente efficace in un pieno ed effettivo pluralismo.
Ma sappiamo bene che questa è una chimera e che chi detiene nelle proprie mani mezzi editoriali di un certo peso, anziché gratificarsi del metterli a disposizione della grande causa collettiva della comunità e della democrazia (potendo anche guadagnare economicamente per questo) preferisce asservirli ad interessi particolari ed estranei.
Insomma un pluralismo vero non c’è. In mancanza nessuno dei maggiori player è lontanamente sfiorato dall’idea che sarebbe suo dovere morale (oltre che suo interesse, un limpido interesse anche economico, opposto a quello prescelto, oscuro e inconfessabile) onorare al meglio la missione dell’informazione in una società complessa.
E così assistiamo a casi come quello sollevato (all’Agcom e all’Ordine dei Giornalsiti del Veneto, ndr) dal Psi del Veneto la cui lista “Insieme” non vede da parte di determinati media locali la stessa attenzione prestata ad altre, almeno in riferimento alla circolazione delle proprie idee e proposte e delle notizie sulle proprie iniziative. Altra cosa è l’insopprimibile libertà di critica che ogni testata può esercitare come crede, essendo libera di preferire alcuni programmi politici ad altri (magari, solo programmi e non anche interessi impropri). Ma le notizie su di essi dovrebbero circolare allo stesso modo.
Se ciò non avviene, ad essere danneggiato non sono, come in questo caso (ma la stessa cosa varrebbe in tutti quelli analoghi riguardanti qualunque forza politica), solo il Psi o la lista Insieme, ma l’intera comunità dei cittadini e lo stesso organo d’informazione che si macchia di tale disparità in quanto tradisce la sua funzione e, nella percezione generale, si riduce al mero esercizio di quel grumo d’interessi oscuri e d’intrecci affaristici che ne azzerano l’indipendenza e la credibilità editoriale.
Esprimo queste considerazioni su una testata alla quale sto prestando il mio apporto, anche con compiti di responsabilità, proprio per consentire a chi la esercitava prima, il fondatore ed ex direttore Giovanni Coviello, di non dovere riunire in sé, neanche per poche settimane, il ruolo di servitore del pluralismo e quello di promotore, in quanto candidato, di istanze politiche di parte.
VicenzaPiù garantisce così il pluralismo e la corretta rappresentazione di tutte le idee politiche e posizioni elettorali.
Altri, a Vicenza,… meno.