Lega, Salvini ‘sdoppiato’: normalizzato in Italia, cerca valvola di sfogo in Europa

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Salvini
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Temperamento frenetico fino all’autolesionismo, Matteo Salvini non riesce ad accettare i tempi lunghi della politica. Nel 2019 la turbolenza produsse l’errore del Papeete, uno smacco pagato a caro prezzo. Oggi che la Lega siede nel governo tecnico-politico con una posizione significativa — il ministero dello Sviluppo economico affidato a Giorgetti è strategico — il capo morde il freno. Sostiene Draghi, anzi deve ammettere che rappresenta la migliore opportunità per ricostruire il rapporto con il mondo produttivo del settentrione, ma è irrequieto. Da un lato è chiamato di continuo a dar prova di buonsenso e moderazione, come un adolescente sotto controllo; dall’altro cerca un suo spazio, un margine di manovra dove sentirsi protagonista e dove non ci sono i Draghi e i Giorgetti a chiedergli quotidiane prove di maturità.

A quanto pare, il leader del Carroccio sembra aver trovato questi spazi in Europa, nel girovagare tra le famiglie politiche dell’Unione. Qui Salvini, pur sempre accreditato nei sondaggi di un 23-24 per cento dei voti italiani, cioè la maggioranza relativa, può dar sfogo ai suoi istinti massimalisti, a costo di rischiare un passo falso. Certo, lo spingevano verso il Partito Popolare europeo e l’operazione aveva un senso, in sintonia con la svolta per cui la Lega nel governo sta tornando alla sua anima nordista e pratica. Ma il cammino si è subito rivelato lento e tortuoso. Nel Ppe nessuno lo ha accolto a braccia aperte, tutt’altro. Anche perché la Germania è nel suo anno elettorale e i Popolari, a cominciare da Angela Merkel, si muovono con circospezione: tamponata la falla a destra e ridimensionati gli estremisti di AfD, non hanno voglia di perdere voti a sinistra. Per cui l’ungherese Orban è stato messo alle strette e non c’è motivo in questa fase di sorridere a una specie di Orban italiano.

Per Salvini l’ingresso nel Ppe significa dunque altri esami, ulteriori prove di maturità, un gioco di continui rinvii per cui servirebbe tanta pazienza, almeno lungo tutto il 2021 e oltre. Invece correre l’avventura con Orbàn e magari il polacco Kaczynski offre il brivido della novità e permette di sentirsi in prima linea. Tanto più che Giorgia Meloni si è già costruita un palcoscenico europeo con la presidenza dei Conservatori e Riformisti e quindi c’è la possibilità di riaccendere la rivalità con lei attraverso la creazione di un altro gruppo, non si sa quale. In altre parole, abbiamo una doppia versione della Lega. In Italia prevale la linea Giorgetti, vale a dire lealtà a Draghi e lavoro sul campo per il rilancio, ci si augura, dell’economia depressa. In Europa si cerca invece di aggregare una destra dai contorni indefiniti: sì a Orbàn, no al Ppe (per ora), sì all’amicizia con Marine Le Pen, no ai tedeschi di Alternative. E così via.

Quale sia la strategia non è chiaro, probabilmente non c’è, ma è evidente che Salvini si sente oscurato a Roma e ha bisogno di galoppare in Europa. Con il sottinteso che verrà il tempo per tornare a parlare con i Popolari, magari quando la Merkel sarà uscita di scena e il partito si volgerà di nuovo verso destra. Resta da capire se l’elettorato leghista, soprattutto a nord del Po, apprezzerà queste giravolte. Sono gli elettori che hanno salutato con grande favore l’avvento di Draghi e vorrebbero dimenticare la stagione di Conte, ma che hanno bisogno di atti concreti di buongoverno. Forse si domandano cosa c’entrano Orban, i polacchi e tutto il resto con queste esigenze.

Stefani Folli su Repubblica

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