Legambiente è stata presente, oggi domenica 20 ottobre a Venezia a fianco dei cittadini avvelenati dai Pfas, così come è sempre stato avvenuto sin dalla scoperta della contaminazione da Pfas nel 2013. Prima tra le Associazioni strutturate a denunciare il disastro ambientale in atto, prima da organizzare i momenti informativi e formativi da cui ha preso quota l’enorme movimento nopfas. Sin dal 2013 che Legambiente segnala a tutti gli enti preposti, commissioni parlamentari d’inchiesta comprese, l’assoluta necessità di porre fine alla contaminazione, che a distanza di quasi sette anni dalla scoperta, continua ad inquinare acque e territori di tre provincie del Veneto.
Questa necessità unità l’evidente risultato insufficiente che la sola bonifica del sito Miteni potrà portare, saranno alla base della comunicazioni nuova audizione di Legambiente Veneto e del Circolo Perla Blu di Cologna Veneta con la Commissione Ecomafie del prossimo 19 novembre.
“Serve un progetto complessivo che comprenda interventi risolutivi sia con la bonifica del sedime dell’azienda sia con la bonifica di tutti i sedimenti inquinati e successivamente della falda inquinata, la più estesa d’Italia. Senza dimenticare l’intero bacino dell’Agno Fratta Gorzone da troppi decenni soggetto all’insulto continuo e pesante dell’inquinamento dovuto al comparto chimico conciario” dichiara Piergiorgio Boscagin della segreteria regionale dell’associazione e presidente del Circolo Perla Blu di Cologna Veneta.
Un inquinamento continuo secondo Legambiente, che non trova corrispondenza in altri paesi occidentali. Cifre da rabbrividire escono dal rapporto Arpav del 2017 sulle tonnellate annue di Cromo totale Cloruri e Fosfati che attraverso Arica, e dai depuratori che in Arica confluiscono, raggiungono il Fratta a Cologna Veneta.
“Non smetteremo di denunciare la mancanza di una mappatura completa di tutte le captazioni idriche private presenti nella zona rossa A – prosegue Boscagin -, dove i residenti hanno valori medi di Pfas nel sangue doppi rispetto ai residenti nella zona rossa B, a significare che la contaminazione è ben presente nelle acque emunte da tali captazioni e che l’uso di tali acque comporta il perpetuarsi all’infinito della contaminazione. Come non ci fermeremo mai di chiedere che anche i cittadini della zona cosiddetta Arancio entrino nel Piano di Sorveglianza Regionale sulla Popolazione Esposta ai Pfas, visto anche la contaminazione storica subita da Btf, precursori dei pfas, sin dalla metà degli anni 70″.
Per Legambiente serve un progetto di recupero delle acque di superficie che attraversano i territori contaminati, se è vero quanto dichiarato dal commissario all’emergenza pfas Dell’Acqua al quotidiano l’Arena di Verona il 21
Aprile di quest’anno, ove egli prevede che la contaminazione dei fiumi non si risolverà prima di cinquant’anni. In alternativa serve un progetto di approvvigionamento idrico alternativo per chi utilizza le acque superficiali contaminate per l’irrigazione. Occorre infine che vi sia massima trasparenza sulle analisi delle matrici alimentari provenienti dalle zona contaminate, anche alla luce delle nuove TDI sull’assunzione dei Pfas, proposte dall’Ente Europeo sulla sicurezza alimentare (Efsa). Come è indispensabile approvare leggi che impediscano l’insediamento di attività potenzialmente pericolose sopra ricarica di falda o in prossimità di corsi d’acqua e al contempo prevedere il dislocamento delle attività pericolose già insediate nei pressi di siti ambientali così fragili ed importanti.
“Indispensabile – conclude Boscagin – anche una visione politica diversa che ponga l’ambiente e la salubrità del territorio al centro di un progetto di risanamento complessivo, che abbandoni le stagioni dell’emergenza e del rimpallo delle responsabilità tra enti. Una politica che si muova solo a disastri avvenuti e ormai conclamati, come avvenuto nel caso Pfas, non giova a nessuno.”.