Legge bavaglio ed equilibrio dei diritti: il “confronto” con Giuseppe Arnò, presidente di ASIB (Associazione della Stampa Italiana in Brasile)

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Legge bavaglio
Legge bavaglio

“Si dice che la penna sia più potente della spada, ma negli ultimi tempi pare che anche la penna abbia trovato il suo scudo: un decreto che limita la pubblicazione di atti giudiziari. Ebbene sì, cari lettori, è giunto il momento di dire addio (o almeno arrivederci) al selvaggio far west dei processi mediatici, dove giornalisti e conduttori si trasformavano in giudici, giurie e, a volte, anche boia”: è così che dal Brasile Giuseppe Arnò sul sito dell’ASIB, l’Associazione della Stampa Italiana in Brasile, che presiede e di cui siamo onorati di far parte del Consiglio consultivo, inizia il suo editoriale sul nuovo provvedimento (il decreto legislativo approvato in CdM il 9 dicembre noto anche come “legge bavaglio”), che regola, per alcuni, o limita, per altri, la libertà di stampa in Italia.

Giuseppe Arnò, giornalista direttore de La Gazzetta Italo Brasiliana e presidente dell'ASIB
Giuseppe Arnò, giornalista direttore de La Gazzetta Italo Brasiliana e presidente dell’ASIB

Giuseppe Arnò, avvocato originario di Locri, si trasferisce in Brasile nel 2015 dopo una lunga carriera forense in Italia. Cofondatore e per cinque anni presidente del Tribunale Arbitrale Internazionale di Rio de Janeiro “Rioarbitration”, è esperto in Arbitrati, Diritto Commerciale Internazionale, Minerario, delle risorse naturali e della navigazione marittima, interna e aerea, con un’ampia esperienza in ruoli dirigenziali. Ma, ora che è in pensione, non si ferma mai e, oltre a presiedere l’ASIB, ha numerosi incarichi di rappresentanza dell’Italia ed è direttore de La Gazzetta Online Italo Brasiliana, di cui fu fondatore nel 2010, con lo stesso nome ma senza il suffisso Italo Brasiliana, quando ancora era in Italia.

Il periodico bilingue dell´AIBAC (Associazione Italo-Brasiliana d´Arte e Cultura) con sede nello Stato di Rio de Janeiro ha diffusione a livello regionale, nazionale ed europeo.

Per questo motivo e per i suoi numerosi contatti col mondo dell’informazione italiana e brasiliana ci interessa sapere come percepisce il significato e la portata di quella che in Italia è osteggiata dalla FNSI come legge bavaglio, non condivisa in alcuni suoi aspetti anche da membri della maggioranza di governo che l’ha voluta.

“Non è più possibile – spiega Arnò – pubblicare ordinanze che applicano misure cautelari personali fino alla conclusione delle indagini preliminari o al termine dell’udienza preliminare. Una misura, dicono dal governo, per proteggere i diritti dei cittadini e garantire che la giustizia si svolga nei tribunali e non nei salotti televisivi. Gli oppositori gridano al “bavaglio”, ma forse, ogni tanto, un po’ di silenzio non guasta”.

In che senso direttore?

Diciamolo chiaramente: chi non ama un buon dramma giudiziario in prima serata? Gli esperti onniscienti, che sembrano sapere tutto prima dei giudici stessi, ci intrattengono con le loro ipotesi ardite e congetture fantasiose. Ma alla fine, a che prezzo? La reputazione di chi è accusato, spesso ancora presunto innocente, viene triturata in una macchina mediatica senza pietà. E se poi l’accusa si rivela infondata? Beh, ciò che resta è solo una scia di distruzione e un flebile “scusate, abbiamo sbagliato”.

Il decreto è stato etichettato come “legge bavaglio”, ma forse è più una mascherina chirurgica per prevenire la diffusione di epidemie mediatiche. Si tratta di proteggere non solo i cittadini coinvolti nei procedimenti, ma anche l’integrità del sistema giudiziario. È un piccolo passo per la giustizia, un grande passo per chi è stanco di vedere la propria vita privata spalmata sulle prime pagine”.

Ma il diritto del cittadino ad essere informato e il dovere del giornalista di informare nel rispetto delle regole già esistenti e della deontologia proffesionale non vengono limitati?

Non fraintendetemi, la libertà di stampa è sacrosanta. Ma come ogni libertà, porta con sé una grande responsabilità. Pubblicare ogni dettaglio di un’indagine in corso può sembrare un servizio pubblico, ma più di una volta si trasforma in un linciaggio mediatico. La stampa dovrebbe raccontare i fatti, non essere parte di uno show sensazionalistico.

Se è sacrosanto tutelare chi ha diritto a un processo equo e non a un processo preliminare mediatico non bastavano le leggi attuali che obbligano chi scrive a una puntuale verifica dei fatti e delle fonti?

È un cambiamento che farà certamente discutere, ma forse necessario per rimettere al centro i valori di una giustizia che non si pieghi ai riflettori. In fondo, il vero giornalismo non perde valore proteggendo i diritti di tutti, ma ne acquista, dimostrando che informare non significa per forza esporre al pubblico ludibrio.

Forse la vera domanda da porsi non è se questo decreto sia una legge bavaglio o una tutela, ma se il nostro sistema mediatico e giudiziario possa trovare un equilibrio che rispetti i diritti di tutti: di chi informa, di chi giudica, e soprattutto di chi è giudicato. Solo allora potremo dire di avere davvero una giustizia per tutti.

Siamo d’accordo ma peccato che, parola di chi vive da anni questa situazione, non appaia tutelato compiutamente il diritto di chi informa correttamente operando nel settore delle inchieste. Perché, ad esempio, rimane da anni nei cassetti parlamentari la legge che tutelerebbe i giornalisti, specialmente quelli non protetti dalle assicurazioni dei grandi editori, da quelle che sono note come “querele temerarie” imponendo una cauzione a chi le presenta solo per costringere chi scrive ad affrontare ingenti spese legali, spesso non sostenibili e, quindi, “imbavaglianti”?