L’esclusione della responsabilità di Intesa Sanpaolo per BPVi, l’editoriale del direttore Di Natale: tanti buoni motivi per ritenere che il gup Roberto Venditti abbia sbagliato

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Non abbiamo alcun motivo per dubitare dell’onestà, né della preparazione scientifica e dell’esperienza, del giudice Roberto Venditti, al terzo anno di servizio a Vicenza dove – dal Friuli, dove aveva operato a Palmanova e Udine – ha raggiunto la moglie, avvocato. Il che non ci impedisce – ma, anzi, ci consente, più liberamente – di affidare ai lettori tutte le nostre riserve, perplessità e critiche verso la decisione presa ieri (qui il documento) sull’esclusione della responsabilità di Banca Intesa Sanpaolo, subentrata a BPVi, rispetto al dissesto di quest’ultima e alla gestione dissennata dell’era Zonin che ha rovinato migliaia di risparmiatori.
Sull’ oggetto dell’udienza preliminare condotta da Venditti, il parallelo con Roma, dove fatti del tutto analoghi sono analizzati in relazione a Veneto Banca, è inevitabile. E questo “parallelo” fa un certo effetto se consideriamo che piazzale Clodio è a tutti noto come “il porto delle nebbie“, nebbie non diradate del tutto neanche in questa fase in cui la procura, guidata da Pignatone, con “Mafia capitale” ha tentato di accreditare la sensazione di un nuovo corso.
Per tornare a Vicenza quindi, nessun motivo per dubitare dell’onestà di Venditti, ma tanti buoni motivi per ritenere che egli abbia sbagliato.
Non ci convince per nulla l’elusione della questione di legittimità costituzionale, che era stata posta in relazione al decreto legge 99 del giugno scorso, con l’argomentazione che essa non sarebbe rilevante nel procedimento in corso in quanto l’esclusione della responsabilità risarcitoria di Banca Intesa rispetto ai risparmiatori truffati deriverebbe non già dal provvedimento del governo, ma dal contratto di cessione successivamente stipulato e di cui “il decreto costituirebbe unicamente il presupposto“.
Appunto, viene da dire. Se il decreto ne è il presupposto, se cioè in mancanza di esso, il contratto tra privati non avrebbe alcuna base su cui poggiare, è il decreto che viene, innanzitutto, in rilievo. Con tutto il suo carico di possibile illegittimità costituzionale per la discriminazione operata tra varie categorie di “vittime” della mala gestio bancaria.
Senza di quel decreto, non avrebbe mai potuto operare un contratto privato come quello stipulato da BPVi e Banca Intesa il quale, del tutto illegittimamente rispetto alla normativa generale preesistente, dispone che i terzi creditori siano confinati nella sfera della banca cedente, fallita e perciò insolvente, ed arbitrariamente esclusi da quella della banca cessionaria. Il tutto in virtù di un mero accordo tra due privati in nome dei loro diretti interessi al cui perseguimento è ispirato il decreto, approvato in fretta e furia dal governo senza un minuto di dibattito una domenica di giugno, e che disconosce totalmente le ragioni delle tante vittime che, in quanto risparmiatori, avrebbero diritto di invocare l’art. 47 della Costituzione in forza del quale “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme” e a questo fine “disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito“.
Negare fondatezza alla questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto al decreto legge 99, per la presunta irrilevanza nel procedimento in corso, ci sembra contrario alla realtà delle cose sul piano dei fatti, e illogico in diritto.
Una sorta di maledizione, pur nella probabile totale diversità di fattori moventi e nessi causali, continua dunque a perseguitare i tanti vicentini onesti, costretti ieri, negli anni 2001 e seguenti, ad assistere impotenti alla rinuncia del procuratore del tempo ad assolvere alle proprie funzioni – con l’effetto di lasciare Gianni Zonin libero di prodursi per altri quindici anni nelle scorribande che hanno inflitto al territorio decine di miliardi di danni – ed oggi a provare ancora la sensazione beffarda di sentirsi prigionieri di un incantesimo impossibile da spezzare.
Nei primi anni duemila a capo della procura berica c’era Antonio Fojadelli. Memorabili, tutte accertate e documentate, le sue incredibili defaillance in favore di Zonin, mentre il gip Cecilia Carreri faceva il proprio dovere e, atti alla mano, cercava di mandarlo a processo. Singolare che sugli sviluppi di quello scontro impari, tra la forza del diritto e il diritto della forza nelle stanze in cui tutti dovrebbero amministrare la giustizia, fu una fantasiosa questione di legittimità costituzionale a ritardare i tempi e ad offrire a Zonin il comodo approdo della prescrizione.
Foiadelli nel 2014 è stato nominato consigliere d’amministrazione della Nordest Merchant srl, controllata dalla Popolare di Vicenza di Zonin, mentre Cecilia Carreri ha raccontato e documentato una sequenza impressionante di vessazioni e ritorsioni al punto da essersi sentita costretta a lasciare la magistratura.
E dal 2008 anche le denunce dell’Adusbef sulle palesi irregolarità di BPVi non sono mai riuscite ad affiorare in un processo. Questo traguardo potrebbe essere vicino, se almeno il gup Venditti riterrà di disporre tra qualche settimana il rinvio a giudizio, ma, se anche ciò accadesse, la decisione di ieri, ha dato ai Vicentini – i tanti che vorrebbero farla finita con un sistema chiuso dominato da trafficanti d’influenze, affari, commistioni, collusioni, intrecci corruttivi – la sensazione che debbano ancora soffrire e aspettare.
A tutti loro ricordiamo che aspettare non basta.