Libertà di scelta educativa, diritto di ogni famiglia

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Le scuole paritarie stanno, piano piano, scomparendo? Le famiglie hanno ancora voglia di vera libertà educativa? Sono davvero informate sulla reale situazione del sistema scolastico italiano? Sono i quesiti che hanno dato il via all’incontro di venerdì scorso 6 settembre in Seminario, organizzato dalle scuole cattoliche paritarie di Vicenza: Farina, Dame Inglesi, Fondazione Levis Plona e Patronato Leone XIII. Una giornata di approfondimento inserita in un cammino che gli istituti paritari cittadini hanno intrapreso per conoscersi ed approfondire la loro non facile condizione nel panorama del sistema nazionale di istruzione italiano. L’obiettivo è unire le forze per essere più forti e visibili.

Prima di tutto si è parlato di libertà di scelta che, il nostro Paese, riconosce, ma non garantisce. In Italia si parla di libertà di scelta educativa dal 1948 (l’articolo 30 della Costituzione recita “Responsabilità educativa implica libertà di scelta educativa”), molto prima dell’Unione Europea che la introduce nel 1984 parlando  di “libertà di insegnamento”. Fu un insospettabile Berlinguer nel 2000 a “parificare” le due categorie dopo la visita a una scuola cattolica in Egitto che ospitava solo bimbi musulmani.

«Non offrire a tutte le famiglie la possibilità di iscrivere il proprio figlio alla scuola statale o alla pubblica cattolica è la più grande ingiustizia statale – spiega la relatrice suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche, docente alla Cattolica di Milano e responsabile di istituti cattolici paritari in Lombardia -. Le scuole cattoliche sono nate proprio per rompere le ingiustizie». Pensiamo, ad esempio, a Giovanni Antonio Farina che “raccolse” dalle strade del quartiere di San Pietro a Vicenza povere giovani, alle quali offrì la possiblità di studiare e imparare un lavoro. «Se guardiamo agli altri Paesi europei – continua suor Alfieri -, ci accorgiamo che  il sistema nazionale di istruzione italiano è la più grave eccezione in Europa. In tutti gli altri Paesi (Grecia esclusa) la vera parità esiste. In Francia, ad esempio, una famiglia può decidere liberamente se mandare i propri figli alla scuola statale o a quella pubblica paritaria. Deve solo dare un contributo di 50 euro per l’ora di religione». Le rette che devono invece sborsare le famiglie italiane vanno dai 2.500 agli 8.000 euro circa ogni anno (a Vicenza e provincia dai 2.500 ai 4000), fino a scuole prestigiose che possono arrivare fino a 22mila euro l’anno. I problemi corrono su due binari: quello politico e quello economico.

«La scelta vera si gioca in un pluralismo senza limiti. Nel nostro Paese c’è discriminazione. Fuori dalle nostre scuole  possiamo appendere il cartello: “Scuola ricca per ricchi. Poveri e disabili non possono entrare” – provoca l’esperta – e, ovviamente, non vorremmo fosse così». Tuttavia qualche eccezione c’è. Gli istituti paritari accolgono anche figli di famiglie in difficoltà. «Noi, come istituto “Farina” di Vicenza, – spiega la vicepreside suor Luigina Pigozzo che è anche delegata provinciale Fidae (Federazione scuole cattoliche) – ogni anno valutiamo le domande e, dopo i dovuti controlli,  andiamo incontro alle situazioni con un Isee basso». 

Ma davvero la scuola paritaria “pesa” fortemente sulla scuola pubblica? Addirittura qualcuno sostiene che la stia “facendo morire”.  In Italia la scuola pubblica ha 7 milioni e mezzo di studenti, quella paritaria 900mila. Un allievo della scuola pubblica statale costa ai cittadini, in tasse a loro carico, 10 mila euro annui, mentre un allievo che frequenta la pubblica paritaria (medie e superiori) costa ai cittadini, in tasse, 480 euro (dati Ocse/Pisa 2018). Ne risulta che le scuole paritarie fanno risparmiare ogni anno allo Stato 6 miliardi di euro. «Bisogna fare cultura a riguardo. Le scuole paritarie d’Italia dovrebbero scrivere questi dati sui loro siti, le famiglie devono essere avvertite» continua suor Anna Monia, che introduce altri due aspetti rilevanti: gli stereotipi e il linguaggio: «Siamo ancora fermi alle scuole dei preti e delle suore, quando sappiamo ormai che religiose e sacerdoti hanno lasciato il posto a laici preparatissimi. Il linguaggio deve cambiare. Quello che è discriminazione, nel nostro Paese oggi passa per privilegio. Non deve essere così».

Passano gli anni, i governi si susseguono, rossi, verdi, azzurri, ma i contributi statali (gli unici a “sostenere” medie e superiori) più o meno sono rimasti invariati. E la cosa buffa è che  «il 90% dei nostri politici viene da scuole paritarie e l’80% dei loro figli le frequenta» continua suor Anna Monia. «Per quanto riguarda i contributi statali c’erano forti aspettative con l’introduzione dell’autonomia voluta dalla Lega  – dice don Marco Benazzato, direttore dell’Ufficio della pastorale della scuola della Diocedi di Vicenza – ma sappiamo com’è andata». «Non dimentichiamo, poi, il valore educativo delle scuole cattoliche – continua il responsabile -. Incontri come questo lo ribadiscono. Perché ci sia una vera libertà di scelta deve esserci una cultura che apprezza e valorizza la libertà di educazione. Tutte le famiglie pagano le tasse e dovrebbero sapere che c’è questa possibilità. Scegliere è un loro diritto. Purtroppo le nostre scuole fanno sempre più parte di una nicchia; sembra esistano solo per chi le conosce già o per chi appartiene ad una certa classe sociale». Proprio per cercare di cambiare questa tendenza le scuole parotarie cittadine stanno preparando un documento che delinea la loro missione e le strategie future. 

“Le scuole paritarie stanno scomparendo?” ci siamo chiesti in apertura. Ogni anno abbassano le serrande circa 380 scuole pubbliche paritarie, in Italia ne sono rimaste 12mila. Negli ultimi anni gli alunni persi sono 200mila, soprattutto da Roma in giù. «Il problema è che, oltre che discriminatorio e classista, il nostro sistema scolastico è anche regionalista – conclude l’esperta -. La scuola paritaria non può chiudere: qualche anno fa se questo avveniva significava togliere un carisma, oggi significa spaccare in due la società». Cosa che, aimhé, forse sta già avvenendo.