Libertà per Patrick Zaki! E Leonard Peltier, Julian Assange, Abu-Jamal e gli altri negli Usa? Candidiamoli per il Nobel per la Pace

637
Zaki ma anche Assange, Peltier, Abu-Jamal e altri in Usa
Zaki ma anche Assange, Peltier, Abu-Jamal e altri in Usa

In questi giorni si intensificano le prese di posizione e le manifestazioni che chiedono libertà per Patrick Zaki, lo studente egiziano che studia a Bologna ed è stato incarcerato e torturato in Egitto. Naturalmente i comportamenti del governo egiziano sono inqualificabili, frutto di concezioni antidemocratiche e lesive della libertà ed è giusto e doveroso protestare contro quel governo in maniera seria e determinata. Sarebbe, però, anche utile ricordare che l’attuale presidente egiziano Al-Sisi prese il potere con un colpo di stato appoggiato dal “mondo occidentale”. Bisognava, all’epoca, fermare i “fratelli musulmani” che avevano vinto le elezioni. Si è trattato, forse, dell’ennesimi “sbaglio” da parte dell’occidente?

Ma c’è anche qualcos’altro che sarebbe utile e necessario domandare (e domandarsi). Tutti gli intellettuali e i giornalisti che chiedono, giustamente, a gran voce la libertà per Patrck Zaki, che sono mossi da fervente passione democratica e che lo fanno per la Giustizia e la libertà di espressione si sono forse dimenticati di Julian Assange? Perché non dicono più niente, con la forza con la quale si esprimono contro il governo egiziano, contro i governi nostri alleati che perseguitano Assange non perché sia un criminale ma perché ha reso pubbliche notizie vere? Forse perché non conviene mettersi contro le potenze occidentali? Perché?

Eppure le notizie divulgate da Assange sono prove che dimostrano come tanti governi occidentali (gli stessi che vogliono condannare Assange e che lo hanno rinchiuso in carcere dopo è sottoposto a torture psicologiche e dove rischia di morire) abbiano fomentato guerre, sfruttamento, persecuzioni e quant’altro. Qualcosa che ha provocato milioni di morti e devastazioni senza uguali e che andrebbe denunciato da chiunque abbia a cuore, almeno, la libertà di informazione.

E perché, gli stessi paladini della Giustizia per Patrick Zaki, non dicono niente riguardo la ingiusta detenzione di Leonard Peltier, nativo americano dirigente e attivista che ha sempre lottato per i diritti del suo popolo, che è in prigione da 44 anni? Forse che la ingiustizia egiziana è peggiore della stessa ingiustizia che avviene negli Stati Uniti o in Gran Bretagna o in un paese della UE? Perché i nostri uomini di cultura restano in silenzio (tranne qualche eccezione)? Non conoscono i fatti? Non sanno? O fanno finta di non conoscere, si voltano dall’altra parte, perché dichiarare apertamente che l’impero statunitense e i suoi vari vassalli perseguita e riduce al silenzio chi dissente? Eppure non è forse una tortura essere incarcerati per decenni anche se innocenti (l’unico crimine è, come afferma Peltier, essere indiano d’America) o se si è detto la verità (scomoda, per carità, ma comunque e sempre verità)?

E non sarebbe giusto fare qualcosa per queste persone (e tante altre oltre a Zaki come, ad esempio, il giornalista e attivista Mumia Abu-Jamal anche lui rinchiuso in un carcere statunitense) che sono solo esempi di una Giustizia di parte (e di classe) abituale nel “nostro mondo civile”?

È un dovere far conoscere queste ingiustizie, farlo con costanza, accusare gli aguzzini anche se non appartengono al terzo o quarto mondo ma a paesi sedicenti democratici e civili ma soprattutto intoccabili perché troppo potenti.

Non si potrebbe lottare per la libertà di queste persone ingiustamente incarcerate? Non si potrebbe candidarle al premio Nobel per la Pace? Non sarebbe, forse, una maniera di affermare che la ricerca della Pace significa cancellare le ingiustizie? Che lottare per la libertà del proprio popolo e divulgare le nefandezze del potere significa, nei fatti, operare per la Pace?

E non sarebbe giusto far sapere a tutti i perseguitati da un potere infame, che quella parte del mondo che crede ancora che le cose si possono cambiare, è al loro fianco, che non li ha dimenticati e che loro sono fratelli e compagni, degni di essere considerati esempio di Pace e Libertà anche da istituzioni che spesso danno premi e onorificenze per questioni di convenienza politica?

(pubblicato il 18 febbraio 2020 alle 18.23, aggiornato il 20 alle 11.50)

Articolo precedenteI nomi di Vicenza, ponte delle Barche perché si chiama così?
Articolo successivoJerusalem Quartet e l’ultimo sublime Beethoven cameristico al Teatro Comunale
Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.