Liliana Segre e Ignazio La Russa al Senato: due discorsi inconciliabili?

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Liliana Segre e Ignazio Benito Maria La Russa al Senato
Liliana Segre e Ignazio Benito Maria La Russa al Senato

L’inizio della XIX Legislatura avviene nella maniera più inusuale e contraddittoria della storia della nostra Repubblica, a partire già dai due discorsi tenuti ieri, 13 ottobre 2022, al Senato per l’elezione del Presidente. Stridono i toni, i contenuti, i modi, la storia personale di Liliana Segre e quella di Ignazio Benito Maria La Russa. Da un lato, una testimone cruciale, classe 1930, delle nefaste politiche fasciste perpetrate ai danni degli ebrei, e non solo, dall’altro, classe 1947, un esponente di punta del Fronte della Gioventù, ex esponente del Movimento Sociale Italiano, figlio di un Antonino, segretario politico del Partito Nazionale Fascista di Paternò, del quale tiene a rimarcare nel suo discorso di insediamento la continuità politica, marcatamente e convintamente di destra.

Ora, sorvolando sulle ragioni che hanno ritenuto opportuno, politicamente parlando, l’elezione di un personaggio dalla storia personale così controversa, come Ignazio Benito Maria La Russa, e non un altro qualunque, alla Presidenza del Senato; sorvolando sul fatto che a Forza Italia il nome non fosse particolarmente gradito, tant’è vero che non l’ha votato e memorabile resterà, nella sua ingenua schiettezza, la sfanculata tra gli scranni di Palazzo Madama di Silvio Berlusconi indirizzata proprio a La Russa poco prima della sua elezione, circostanza che la dice lunga sul futuro di questa maggioranza; sorvolando sul fatto che, a quanto pare, Ignazio Benito Maria La Russa sia persona gradita, invece, al resto dei senatori, presumibilmente renziani (o calendiani?) e piddini, dal momento che almeno 17 di quelli che si apprestano a fare l’opposizione non abbiano avuto dubbi sin dalla prima votazione sulla convergenza verso l’ex missino; ecco, sorvolando su tutto questo (ma come si fa? È solo per il momento, perché non è facile digerire tutte insieme queste vicissitudini), vorremmo, invece, soffermare l’attenzione sul discorso di Liliana Segre, molto più interessante dei giochi di potere in corso.

Dopo i saluti di rito, tra cui quello all’assente Giorgio Napolitano, e i ringraziamenti per il ruolo assunto, con un tono pacato e una pregnanza discorsiva che affondano nel vissuto personale di una storia duramente segnata dal dolore, il primo pensiero di Liliana Segre non può non soffermarsi sulla guerra in corso, facendo suo quello che è stato il monito di Sergio Mattarella nei giorni scorsi: «La pace è urgente e necessaria» e non solo per il popolo ucraino, come afferma Segre, ma anche per lo stesso popolo russo, aggiungiamo noi, che subisce e combatte, da protagonista inconsapevole, una guerra decisa da spregiudicati leader, sempre più potenti in questa evoluzione mondiale delle strutture internazionali di potere.

Eppure, stride il contrasto tra queste posizioni, sebbene siano solo accennate flebilmente, e la totale mancanza di riferimenti pacifisti nel discorso di insediamento, su quella stessa poltrona da cui ha parlato Liliana Segre, di Ignazio Benito La Russa, il quale pronuncia parole (a sua detta non preparate) del tutto autoreferenziali, prive di pathos e di memoria storica, se non per qualche vicenda personale legata agli anni di piombo, parole caratterizzate da una baldanza poco istituzionale, che si lascia andare spesso a battute, come quella che arriva subito dopo il ricordo tributato a Pinuccio Tatarella.

Il momento più toccante e commovente del discorso, tuttavia, è stato quello in cui Liliana Segre ha richiamato alla memoria con ironia, forse non del tutto inconsapevole di ciò che sarebbe accaduto da lì a poco, il centenario della marcia su Roma, l’inizio delle sue e delle disgrazie di altri milioni di uomini e donne toccate dalle leggi razziali. Era 28 ottobre del 1922 quando un manipolo di fascisti, guidati da un quadrumvirato composto da Emilio De Bono, Italo Balbo, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi, si recava da Napoli, dove era riunito in congresso, a Roma per chiedere al re Vittorio Emanuele III il potere con un atto di forza. Vale sempre a pena ricordare che Benito Mussolini non era a Roma, ma a Milano, pronto a fuggire in Svizzera nel caso il re avesse firmato lo stato d’assedio, come gli chiedeva il primo ministro Luigi Facta. Il re d’Italia, invece, decise di affidare il potere a Mussolini, il quale poté prendere il treno da Milano, scendere a Roma con tranquilità e, senza alcun spargimento di sangue, prendere la consegna del potere dalle mani del sovrano, avviando una dittatura di ben 20 anni con la legittimazione e il coinvolgimento totale, costante, mai revocato da parte della casata dei Savoia.

Anche per questi motivi stride e appare inconciliabile il discorso di Liliana Segre, la quale richiama alla necessità di smetterla di ritenere divisive le date del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giungo, date che devono entrare con piena consapevolezza nella memoria collettiva delle giovani italiane e dei giovani italiani, e la richiesta, nel discorso di Benito La Russa (per non appesantire la lettura, via via abbiamo deciso di dis-faccettare il nome) di inserire tra quelle date anche la celebrazione della costituzione del Regno d’Italia, proprio quello che con il fascismo era andato a braccetto sin dall’inizio.

Insomma, cogliendo tutta l’ironia della storia che ha voluto un passaggio di consegne così inconciliabile e stridente, a nostro avviso, tra ciò che rappresenta Liliana Segre e ciò che rappresenta La Russa per il nostro paese, ci sovviene che tutto ciò è storicamente il risultato, ammantato di finta conciliazione, di apparente pacificazione politica, avviato a suo tempo già da Palmiro Togliatti con l’amnistia per tutti i fascisti nel 1946 e proseguito poi da Luciano Violante, colui che nel 1996, nel discorso di insediamento alla Presidenza della Camera, aprì, da sinistra (sic!), alla possibilità di comprendere le ragioni dei vinti della Resistenza, cioè i fascisti della Repubblica di Salò, alimentando fino ad oggi bizzarre interpretazioni anche sulle vicende delle foibe, grande vittoria ideologica della cultura fascista italiana. Non è un caso che La Russa citi e ringrazi nel suo discorso proprio Luciano Violante, così come non è un caso che La Russa ringrazi tutti i senatori di opposizione che hanno sostenuto la sua Presidenza del Senato, ben 17, signori e signore…perché è proprio vero che noi italiani e italiane i conti con il passato non li abbiano ancora fatti!


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a cura di Michele Lucivero

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