Appello a Rucco & c.: inchiesta su Giovanni Villa e sue dimissioni chiamino in causa i “poteri morali” del cda Roi e la competenza di chi ha stilato bando vinto da Chiara Signorini

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Il bando pubblico del 10 febbraio 2017 per un posto, a tempo pieno e indeterminato di «istruttore direttivo» nei Musei che è stato vinto da Chiara Signorini ha comportato, come noto, un’apertura di indagini da parte della Procura di Vicenza che col pubblico ministero Hans Roderich Blattner ipotizza i reati di “abuso d’ufficio” e “rivelazione di segreto d’ufficio” ora anche a carico di Loretta Simoni, che dirige il settore Cultura di Palazzo Trissino, oltre che, da tempo, nei confronti del direttore onorario del Museo Civico (Palazzo Chiericati), Giovanni Carlo Federico Villa, che, secondo Il Giornale di Vicenza, si sarebbe recentemente dimesso dall’incarico.

Ci pare, intanto, “strano” (ma anche no viste le nebbie che hanno avvolto palazzo Trissino negli ultimi dieci anni) che queste dimissioni sia state date senza che ne sia stata data evidenza pubblica da parte dell’amministrazione Variati, più volte criticata su questo mezzo e in consiglio comunale dal M5S e anche dall’attuale sindaco, allora consigliere comunale, Francesco Rucco, per il “marchingegno”, così lo definì Jacopo Bulgarini d’Elci, ideato inizialmente da Achille Variati e dal suo vice e poi perpetuato nel tempo per assegnare, e retribuire, quell’incarico che, secondo l’interpretazione poco statutaria dell’ex sindaco e dei presidenti della Fondazione Roi, prima Gianni Zonin e poi Ilvo Diamanti, dava diritto a sedere nel cda della Fondazione stessa.

Tra l’altro l’incarico, inizialmente da direttore scientifico, prima di essere trasformato in “onorario” dopo il crac della Banca Popolare di Vicenza e il buco della Roi, era, come ricordavamo, retribuito addirittura dalla Roi e, perciò, è stato causa, dopo la nostra inchiesta e conseguente denuncia, di una “censura” ufficiale del docente Giovanni Villa, ora sotto valutazione anche dell’Anac di Raffale Cantone, da parte della sua università, quella di Bergamo, che non era stata informata dell’impegno a pagamento né, quindi, richiesta del permesso relativo, come previsto dalla legge.
Ciò premesso ci piacerebbe, intanto, sapere ufficialmente dalla nuova amministrazione (sindaco Francesco Rucco, assessore alla trasparenza Isabella Dotto e segretario generale Antonio Caporrino) se
1 – se le dimissioni di Villa sono confermate
2 – se, di conseguenza, il cda della Roi non ha più tra i suoi membri il direttore del museo civico pro tempore, per quanto contestabile e contestato quando è stato identificato da Variati nella diversa figura del direttore scientifico e poi onorario

3 – se, infine, la nuova amministrazione abbia fatto presente al presidente uscente della Roi, Ilvo Diamanti, che il suo cda monco, nel rispetto sostanziale delle volontà del marchese Giuseppe Roi e pur se lo statuto in vigore consentirebbe delibere senza il membro non più avente diritto a farne parte, dovrebbe astenersi dal promulgare il nuovo statuto prima che a esprimere un parere sullo stesso arrivi il nuovo e veramente legittimo rappresentante di quel Chiericati a cui il fondatore aveva dedicato la sua fondazione.

Tornando, dopo queste fondamentali domande, alla questione delle indagini in corso le stesse non si limiterebbero, secondo i rumors usciti dal palazzo di Giustizia vicentino, a verificare se Chiara Signorini sia stata avvantaggiata dai due membri della commissione esaminatrice Giovanni Villa e Loretta Simoni (il terzo componente, Cinzia Milan, non sarebbe indagato) ma se anche e proprio la “costruzione” del concorso per titoli ed esami non fosse stata fatta ad hoc.
Alcune caratteristiche che colpirebbero gli inquirenti (e la GdF avrebbe raccolto documenti anche al riguardo) riguarderebbero proprio la valutazione “concorsuale” dei titoli. Ma noi, anche in assenza di favoritismi prestabiliti a tavolino, rimaniamo colpiti anche dai criteri di valutazione dei meriti scientifici fissati dal compilatore del bando per il Chiericati, un museo di valore internazionale.
Se i requisiti minimi, infatti, di almeno 3 anni di attività in un museo pubblico «multiplo o grande» sembrerebbero più adatti a un candidato come la Signorini, da anni attiva presso il museo civico “multiplo”, piuttosto che ad un altro senza questi requisiti, è opportuno farsi qualche domanda sui criteri di valutazione degli altri titoli se si considera che la laurea dava diritto al massimo a 3 punti (a seconda del voto di laurea), mentre un master al massimo a 2 e solo 1 punto era assegnato a chi avesse già lavorato da dipendente, a tempo determinato o indeterminato, o anche con cococo, cocopro, tirocini o borse di studio.

A questo si aggiunga che chi avesse partecipato al coordinamento tecnico-scientifico di allestimenti poteva vedersi assegnati 2 punti mentre solo 1 punto premiava chi avesse presentato pubblicazioni a propria firma, così come solo 1 punto valeva conoscere decentemente l’inglese.

Insomma molto di più valeva anche un normale titolo di studio mentre un punteggio minore era riservato a specializzazioni (master), ad esperienze sul campo o a chi avesse prodotto testi o magari sapesse interagire in inglese per attività museali che non ci sembra siano provinciali.

Non sappiamo né sta a noi deciderlo se ci sia stato dolo nell’assegnazione del concorso ma chi ne ha fissato i criteri di valutazione è stato a sua volta… valutato da qualcuno all’altezza del suo compito?