Quando in un articolo di qualche giorno fa, dopo i primi freni operativi al decreto liquidità nutrivamo seri dubbi che il sistema bancario italiano ed in particolare le grandi banche si potessero dimostrare particolarmente attenti nei confronti dell’economia locale e delle PMI, eravamo evidentemente consapevoli dei loro reali, seppur inconfessati timori.
Il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha esordito qualche giorno fa con un "La strada di far indebitare le imprese non è quella giusta", ma soprattutto, e subito, gli faceva eco l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che in un’intervista al Sole 24 Ore del 26 aprile: "le aziende hanno bisogno di finanziamenti a fondo perduto. Per tenere in vita chi ha perso 6 mesi di fatturato spesso non bastano aiuti che aumentano i debiti, perché i debiti vanno restituiti".
Considerato come è riuscito ad avere alcuni miliardi dallo stato perché gli fosse data, a fondo perduto?, senza dover "restituire" alcunché, la parte buona delle banche venete, capiamo come questo discorso gli riesca facile: all'Ad Messina è bastato bussare, ma neanche molto, e i soldi sono arrivati sotto forma anche di un foraggiamento tramite lo Stato con poco meno di 5 mld a fondo perduto da recuperare in prededuzione dalla Lca, quindi con i soldi degli ex soci, girati in buona parte a utile perché gli asset ricevuti (a fondo perduto) comunque generavano valore superiore ai costi.
Intanto, in questo panorama, è nota la richiesta da parte delle banche di uno scudo penale per i prestiti previsti dal decreto liquidità.
"Senza uno scudo penale alle banche non sarà automatico concedere prestiti alle imprese, anche se garantiti dallo Stato. Ci sono le norme penali sull’antiriciclaggio ma anche le norme fallimentari che costituiscono ostacoli pesanti all’attività degli istituti di credito" ha spiegato il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, in audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, mercoledì 22 aprile.” come da video pubblicato integralmente anche da VicenzaPiu.com.
Da una prima lettura di tutto questo pare una storia di ordinaria burocrazia, di cavilli ma anche di giuste preoccupazioni. In realtà a nostro avviso è, soprattutto, la dimostrazione della maggiore capacità di pensiero strategico di questi banchieri rispetto agli ex banchieri nostrani che evidentemente quando andavano a Roma si fidavano delle rassicurazioni e dei complimenti che raccoglievano per il sostegno che veniva dato all’economia locale all’indomani delle crisi finanziarie che avevano messo sotto scacco da parte della speculazione internazionale le grandi banche con UniCredit presa letteralmente a “sassate”.
D’altra parte se non vi fosse stato questo occhio benevolo come avrebbe potuto succedere che Bankitalia e Consob, con la loro indiscussa professionalità, non vedessero per anni lo sconquasso che si stava creando da Nord a Sud nelle banche di medie dimensioni per puntellare un’economia sconvolta dall'allora “virus“ finanziario americano.
Messina & c. sono banchieri di altra pasta, guardano lungo. Il potere perlomeno nei confini nazionali è già loro, ma sanno che, passato questo periodo la BCE, riprenderà le redini in mano, ricomincerà con gli stress test magari ancora più ficcanti (specialmente se la Germania nel frattempo avrà avuto modo di sistemare i problemi di Deutsche Bank), perché i “Conte”, passano ma la BCE rimane.
La garanzia dello Stato con un rapporto deficit/Pil al 180% probabilmente sarà difficilmente assimilata al free risk.
E allora perché fidarsi ora delle lusinghe romane e rischiare di immettere liquidità con una garanzia di uno Stato a rischio di downgrading verso la finissima soglia "spazzatura"?
E come dare torto a quei banchieri che stanno facendo melina in attesa di una selezione Darwiniana, mentre Conte, che chiede “un atto d’amore alle banche”, non ricorda che l’ultimo atto d'amore è costato allo stato qualche miliardo.
E allora?
Tempi duri per professionisti, Pmi e aziende.
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