Livio Pacella, un artista libero mai dimentico del teatro, della poesia e della musica

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Livio Pacella
Livio Pacella

(Articolo sull’attore Livio Pacella da VicenzaPiù Viva n. 12sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

L’attore vicentino sta andando forte sul piccolo schermo, dove è l’informatore all’osteria dell’ispettore Stucky (Rai 2) e un usuraio senza scrupoli nella fortunata serie La vita di Lidia Poët (Netflix). Al cinema nel 2025 sarà con Chris Pine ne Il rapimento di Arabella, di Carolina Cavalli.

Quando si tratta di artisti, quelli veri, quando al centro non ci sono notorietà e autocelebrazione ma l’arte, quella vera, intesa come sentimento naturale prima ancora che talento, non si può parlare semplicemente di intervista.
Durante l’incontro con Livio Pacella, attore ma soprattutto artista, è nata con grande spontaneità una conversazione piacevole, reciproca, amichevole, arricchente. E divertente.
Davanti a un caffè americano -ordinato, con sorpresa di entrambi, all’unisono- non la giornalista e il personaggio, ma due persone con la loro umanità; al centro del discorso, non tanto un curriculum, quanto visioni. Ha punti di vista precisi Pacella, infatti, ma resta anche un fantastico visionario, un ribelle dei cliché.
Anche se, in particolare da quando è cominciata a grandi falcate la sua carriera televisiva e cinematografica, oggi è soprattutto della recitazione e del volto di Livio Pacella che si parla, costringerlo dentro la definizione di attore è non solo difficile, ma profondamente sbagliato. Regista, drammaturgo, sceneggiatore, pedagogo teatrale, direttore artistico, conduttore radiofonico, poeta… Livio è stato ed è un po’ di tutto (e anti-tutto), purché l’ispirazione gli parta da dentro e si traduca in passione. Poliedrico?
Il termine non gli rende giustizia: a me personalmente suona come qualcuno che prova di tutto un po’. Livio no. Livio ci si butta in quello che fa, è che semplicemente è bravo (ma lui non lo direbbe mai) a fare tante cose ed è aperto a nuove esperienze che siano di crescita personale ancor prima che professionale.

Livio Pacella
Livio Pacella

Sui giornali è spesso definito semplicemente come ‘attore vicentino’ (che era il motivo principale per cui lo avevamo contattato per questa rivista), ma anche qui c’è da discutere… L’irrinunciabile pizzino anagrafico di Fazio ne Il Commissario Montalbano reciterebbe così: nato a Taranto il 29 settembre 1976, trasferitosi a Camisano quando era in prima elementare e dalla maggiore età stabilitosi a Vicenza città, si dedica agli studi classici e si laurea col botto in filosofia, a Padova. Ma Pacella, che quando serve ha anche il dono della sinteticità, riassume con “mi sento assolutamente apolide”. Facile
ribattere che la sua casa è il mondo: no, la sua alcova, ovunque vada, è l’arte, perché “l’anima te la porti sempre dietro”. Non è questione di non avere radici, piuttosto di non avere padroni e infatti si premura subito di spiegare che lui è un artista “freelance, per scelta”, tanto free da potersi permettere di sperimentare tutto. Ed è quello che fa fin da giovincello, accumulando esperienze, crescendo come uomo.
Inizialmente si dedica quasi esclusivamente al teatro, nelle forme più disparate, da quello recitato a quello diretto, fino a quello insegnato, passando sempre attraverso la sperimentazione.
A 33 anni, a Vicenza, è direttore artistico del Festival Teatrofuturo, fortunato laboratorio, organizzato dall’omonima associazione e Theama Teatro, che porta in città i migliori nomi della ricerca teatrale italiana e si conclude con una maxi performance in piazza dei Signori, dal titolo Non è un teatro per vecchi. Poi la sua relazione amorosa con il teatro (o per meglio dire con i teatri) in genere entra in crisi profonda: in un mondo utopistico, o forse semplicemente migliore, all’artista dovrebbe essere concesso di dedicarsi anima e corpo all’arte, con purezza. Il backstage fatto di conti e conteggi, codici e codicilli, regole e cavilli alimenta la delusione di Livio verso qualsiasi tipo di attività teatrale. Pacella, per cinque anni, entra nella sua fase di “poeta maledetto”, come si autodefinisce.

Poi che succede? Come approdi dal palcoscenico allo schermo?

«Una coppia di amici registi di Roma (ndr: Giulia Brazzale e Luca Immensi) mi chiede di scrivere la sceneggiatura di quello che non sapevo ancora sarebbe stato il mio primo film come protagonista: Le guerre horrende (con l’H perché è una citazione cinquecentesca di Guicciardini)». Letto lo script della favola noir surreale e paradossale, liberamente tratta dall’omonima commedia teatrale di Pino Costalunga, i registi decidono che è tagliato su misura per Livio, che così da dietro la telecamera passa anche dietro il ciak. A questo punto, a Roma un agente che stava mettendo in piedi la sua agenzia lo nota e gli propone un contratto. La porta di televisione e cinema si schiude. E Pacella non resta certo sulla soglia…
Al contrario, e oggi spara una tripla cartuccia di novità sul piccolo e grande schermo. Mentre andiamo in stampa, su Netflix debutta la nuova stagione de La legge di Lidia Poët (impersonata da Matilda De Angelis, nei panni della prima donna italiana a essere entrata nell’Ordine degli Avvocati), produzione italiana più vista nel 2023 e nello stesso anno vincitrice del Nastro d’Argento per la miglior serie crime. In un episodio Pacella interpreta un usuraio spietato, dai metodi di riscossione brutali. Quando gli chiedo se preferisca i ruoli da cattivo o da buono, Livio risponde che lo cercano perlopiù per i primi e che ne è felice, perché “sono decisamente i più interessanti”.
Su Rai 2 invece esordisce la nuova serie poliziesca Stucky (da leggersi con la U), ambientata in Veneto e basata sui romanzi di Fulvio Eras, il cui protagonista è un ispettore qui interpretato da Giuseppe Battiston. Livio sarà il suo informatore sui generis: un habitué dell’osteria, cui nulla sfugge. E anche il tema osteria mi costringe a una bellissima parentesi: in passato Livio usava ritrovarsi in compagnia all’Antica Osteria Trastevere, in zona Ponte degli Angeli, che ora non c’è più “perché era troppo bello per essere vero”. Negli anni i suoi uffici sono sempre stati non convenzionali, come lui. “Quando il pub ha chiuso -racconta- i miei amici e io non ci rassegnavamo e abbiamo fondato una radio web (ndr: Radio Zonkie, che per chi se lo sta chiedendo è un animale a metà tra l’asino e la zebra) per ritrovare quell’atmosfera.

Livio Pacella
Livio Pacella

“Ma anche perché a Vicenza mancava una radio pirata”. Rieccolo il ribelle. Dai, noi dovremo aspettare il prossimo anno per vederlo, ma per te è già tempo di meritati festeggiamenti: parlaci del tuo nuovo film.
«Con Carolina Cavalli (ndr: regista milanese già nota per Amanda, successo di pubblico e critica) abbiamo appena finito di girare, tra il Veneto e Ferrara, Il rapimento di Arabella, in cui io interpreto l’autista di un gangster». Che nientepopodimeno è Chris Pine, celebre attore hollywoodian protagonista tra l’altro del reboot di Star Trek, figlio d’arte (suo padre è Robert Pine, per i boomer come me il sergente Getraer di Chips, serie fortunatissima di quando non esisteva ancora lo streaming). Accanto a lui un cast d’eccellenza, che include anche Benedetta Porcaroli e il “nostro” Pacella.

La settimana scorsa il tuo cortometraggio Mosto ha vinto il primo premio al FIPILI Horror Festival di Livorno (e tu quello di miglior attore), ma raccontaci come è andata con il grande cinema?

«Quello delle produzioni cinematografiche è un mondo difficile (ndr: e io sento nelle orecchie le note di Nino Carotone, altro che boomer, sono cariatide), ma questo ultimo anno è stato bellissimo, stimolante e divertente».

E adesso? Mica vorrai riposarti, vero?

«Per carità, non sia mai. A giorni sarò sul set della serie tv Portobello, dedicata a Enzo Tortora (interpretato da Fabrizio Gifuni), per la regia di Marco Bellocchio, in cui il mio sarà il ruolo di un poetico carcerato. Contemporaneamente stiamo lavorando per mettere in scena, nel 2025, una produzione degna di questo nome, con un debutto in grande stile, de I crolli di Shakespeare, testo inedito di Vitaliano Trevisan (ndr: icona culturale vicentina, con cui Pacella è cresciuto, teatralmente parlando) affidatomi dalla sua stessa compagna e di cui ho dato un assaggio lo scorso autunno a Villa Albrizzi Marini di San Zenone degli Ezzelini. Devo dire che lavorare sugli scritti di Trevisan è per me un grande onore, ma al contempo anche una vera e propria avventura, perché i suoi sono testi molto intensi e quindi anche in qualche modo pericolosi. Al loro cospetto l’attore deve annullarsi per lasciarli protagonisti assoluti. Seppure l’aver conosciuto molto bene Vitaliano mi regali una certa disinvoltura, non ne trascuro le insidi».

Che cos’è più stimolante? Il teatro o lo schermo?

«Il teatro -non quello di cui si è nutrita in passato l’Italia con i grandi caratteristi, impostati, compresi e sovraccarichi- è dentro di me, ma questa nuova avventura mi ha insegnato tanto. Ho imparato per esempio che il tipo di recitazione richiesta sul palco e davanti alla telecamera è diversissimo. In teatro sei un corpo qui e ora, con cui devi magnetizzare il pubblico davanti a te, senza l’ausilio dei primi piani e devi ricorrere a un’energia esuberante per farlo, il che si traduce per forza in una performance irreale. Sul set, invece, la parola d’ordine è togliere. Eliminare ogni sovraccarico, non pensare. Devi essere immediato, naturale, come un musicista che suona senza guardare lo spartito». E anche qui scatta l’inciso: Livio ha da sempre un rapporto fortissimo con la musica, che porta anche nei suoi spettacoli: «La poesia è nata per essere musica».
Non togliamogli il gusto di definirsi maledetto, ma averlo come concittadino questo poeta mi pare più che altro una benedizione.