LR Vicenza-Arzignano Chiampo è una partita che la squadra allenata da Francesco Modesto non deve far l’errore di sottovalutare. L’aria che tira, invece, è che la vittoria vicentina sia pressochè scontata perché blasone, qualità e rosa sono sufficienti a orientare il pronostico verso il 2 in schedina. Si guarda con simpatia e stima, nel capoluogo, alla squadra della vallata, che è riuscita a tornare in Serie C e ad ambientarsi molto meglio del previsto fra i professionisti, ma sembra che il vis à vis debba essere più o meno una formalità, un’amichevole anomala in cui i “cugini di campagna” si debbano sentire onorati di ospitare i “parenti ricchi” della città e non debbano, invece, neanche sognarsi di aggiudicarsi il derby.
Se si ragiona così, si è capito poco del calcio di Serie C. Proprio il Girone A, in cui militano LR Vicenza e Arzignano Chiampo sta dimostrando che certe gerarchie non esistono più e che budget, grandi firme e nobiltà non sono fattori decisivi per primeggiare nel terzo livello del football nazionale.
Soldi e blasone non bastano
Prendiamo proprio il caso del “Lane”, che ha un’immagine nel mondo del calcio e, soprattutto, nella sua tifoseria ben più alta di quanto merita per gli ultimi venticinque anni di vita, in cui ha dimenticato la A, in cui ha vivacchiato fra B e C, in cui ha subìto un fallimento che ha cancellato 116 anni di storia, in cui è diventato la nuova casa proprio di una società della provincia, il Bassano Virtus, che lo ha colonizzato incamerandone tradizione e successi che, semmai, appartengono alla cultura popolare della città.
Nemmeno il lustro di gestione della nuova proprietà è riuscito a dare nuova sostanza e vitalità alla squadra che porta il nome di Vicenza, visto che, partiti dalla C con il proposito di salire entro un quinquennio alla massima serie, dopo quattro stagioni sportive si è invece tornati al punto di partenza dopo un “campionato degli orrori” fra i Cadetti.
Eppure, un Vicenza in C è considerato un’anomalia, una presenza occasionale, un incidente di percorso. Oggi, in realtà, solo i tifosi (sia quelli che vanno al Menti e in trasferta sia quelli che, più o meno, ne seguono le gesta) sono da categoria superiore, quello che manca è, invece, la sostanza. È come se ci fosse una bella confezione per un pacco semivuoto. La piazza attende con una pazienza e una fiducia sovrannaturali (qualche volta addirittura autolesionistiche) la palingenesi, la rinascita, il ritorno nell’élite, una nuova Nobile Provinciale, cullandosi nell’ormai quasi mitologico passato dei vent’anni in Serie A, del Real Vicenza, della Coppa Italia, cose accadute in un calcio diverso oltre che secoli fa. È come se la tifoseria si tuffasse in quei lontani campionati per dimenticare gli ultimi due decenni di delusioni e mediocrità, e si illudesse della inevitabilità di tornare a quei livelli solo perché basta il blasone a meritare un posto fra i grandi del calcio.
È ora di tornare con i piedi per terra e scordare il passato
Forse è ora di tornare con i piedi per terra e avviare tutti insieme un nuovo ciclo della storia del calcio vicentino: “scurdammoce ‘o passato” (come dice la nota canzone) e cominciamo a pensare a un Vicenza in sintonia con i tempi, cioè a una squadra espressione di una piccola città di provincia, che deve costruire un percorso di difficilissima risalita tenendo presente che la sua appropriata collocazione attuale è la Serie B e che quella in Serie A sarebbe frutto di una serie di fattori e di circostanze non solo programmabili ma anche fortunate.
Per arrivare nel top del calcio e restarci oggi servono investimenti e strutture, capacità manageriali e tecniche, marketing e progettualità. A Vicenza mancano molti di questi fattori e la città è quella che è, nelle dimensioni e nella popolazione, nel reddito pro capite e nel peso politico, nella presenza nel mondo dello sport in generale. C’è uno stadio inadeguato a reggere la Serie A per carenza di strutture e servizi, gli investimenti fatti dalla nuova proprietà ci sono indubbiamente stati ma non hanno dato i risultati attesi e, probabilmente, si sarebbe dovuto spendere di più e meglio. La città è stata impoverita dal fallimento della Banca Popolare, dal Covid, ora dalla crisi energetica e la gente, ora, ha altre priorità piuttosto che il calcio. Le eccellenze vicentine, sia negli sport di squadra che in quelli individuali, sono ben poche e il calcio ancora si accaparra la quota maggiore di spettatori e di risorse economiche, bloccando di fatto la crescita di altre discipline, anche di quelle più popolari.
Finiamola, quindi, con il guardare nello specchietto retrovisore e concentriamoci sul futuro con un atteggiamento realistico e produttivo. Rivogliamo la A a Vicenza? La risposta è sicuramente sì, ma dobbiamo essere consapevoli che non sarà una passeggiata e convincerci che dobbiamo dare tutti di più. Chissà, forse sarebbe stato meglio, dopo il fallimento, ripartire dalla Serie D e unire la città in un percorso più lungo ma effettivamente formativo di rinascita. Ma nessuno si è fatto avanti per rilevare il Vicenza Calcio dal fallimento e meno male che è arrivata la soluzione esterna, anche se poteva essere formulata diversamente.
Il derbino con l’Arzignano può essere occasione adatta per avviare una ripartenza e va affrontato con il giusto rispetto per un avversario che non è inferiore per perifericità e dimensioni e che la risalita è anche frutto di umiltà e concretezza.