Francesco Baldini e Pierpaolo Bisoli. Sono stati gli allenatori di Vicenza e Cosenza i veri protagonisti di questo sfida fra Vicenza e Cosenza, gara-1 dei play out. Hanno improntata con le rispettive scelte tattiche, con la gestione psicologica dei propri giocatori, con la conduzione del gioco durante la partita.
Entrambi hanno fatto un buon lavoro, quello di Baldini è stato più fruttuoso perché ha portato alla vittoria del Lane ma a Bisoli bisogna riconoscere che è andato assai vicino a ottenere un pareggio. Avrebbe garantito al Cosenza la salvezza con una percentuale di probabilità molto alta, permettendole di affrontare la gara di ritorno con due risultati su tre a disposizione.
Baldini ha confermato le impostazioni delle partite precedenti
Il tecnico vicentino è stato coerente con le impostazioni che ha dato alla squadra e al gioco già al momento del suo avvento. Ha confermato, infatti, il modulo che si è dimostrato più funzionale alle possibilità e alle caratteristiche dei giocatori che ha. E cioè con l’espediente della difesa a tre, rimodulabile a cinque in caso di necessità, e con la soluzione di un centrocampo altrettanto convertibile, in funzione delle contingenze, da filtro e presidio a propellente per la fase offensiva.
Baldini ha ribadito anche nella prima sfida fra Vicenza e Cosenza la scelta di un gioco semplice e schematico, quasi elementare, basato su lunghi rilanci (per accelerare le tempistiche del gioco e ovviare alla mancanza in rosa di un play maker di ruolo) e su frequenti aperture verso gli out. Niente, quindi, costruzione dal basso e difensori più lucidi e precisi potendo limitarsi a fare il basic.
Non è però riuscito, nemmeno con il Cosenza, a trovare una soluzione alla stitichezza offensiva della squadra. Ma questo problema lo si potrebbe superare solo con l’apporto di attaccanti che non ci sono in rosa e, solo fino a un certo punto, con il contributo di difensori e centrocampisti, come è avvenuto nelle ultime partite.
Le scelte utilitaristiche di Bisoli
L’allenatore del Cosenza ha optato per una prestazione utilitaristica, con la squadra atteggiata soprattutto a chiudere gli spazi d’azione per gli avversari e a interrompere le linee di passaggio con un accorto posizionamento dei suoi e con riusciti anticipi. La fase offensiva è stata per lunghi tratti affidata alle indubbie capacità di un solo attaccante, Giuseppe Caso, in grado di fare reparto praticamente da solo. La squadra calabrese, poi, si è ben guardata dal cercare una costruzione palleggiata, rimettendosi a sua volta a giocate semplici e lineari.
Le statistiche evidenziano i risultati delle impostazioni di Bisoli: possesso palla del Vicenza 63%, quella del Cosenza 37%, ma tiri in porta dei biancorossi sei in tutto (uno nel primo tempo!).
L’allenatore cosentino non ha certo avuto scrupoli nel ricorrere ai soliti trucchi del mestiere finalizzati a rallentare e a spezzettare l’azione dei giocatori del Vicenza. Rimesse in gioco del portiere al rallentatore, pause per infortuni dilatate a oltranza, proteste e contestazioni (in campo e dalla panchina) con insistenza. Non è stato sportivo ma è indubbiamente servito.
I tifosi e la ritrovata vicentinità
Il profilo più bello della partita fra Vicenza e Cosenza è stato il suo contenitore, uno Stadio Menti tornato – almeno in parte e per una sola volta – ai fasti del passato. Occupato nei limiti della capienza attualmente consentita (ma tutt’altro che esaurito), ribollente di un tifo costante e ad altissimo coefficiente sonoro, abbellito con tutti gli ornamenti delle grandi occasioni (striscioni, lenzuolate, bandiere, fumogeni) il vecchio impianto, che è stato ormai in tempi lontani scenario di grandi campioni e di grandi appuntamenti, è ringiovanito mascherando le pecche dell’età e richiamando nel cuore e nella memoria, almeno dei tifosi meno giovani, il ricordo di emozioni che mancano da troppo a Vicenza.
È stata anche l’occasione per i vicentini per ritrovare la propria vicentinità, almeno quella calcistica che, comunque, è sempre stata un fortissimo fattore di identità e di identificazione fra un territorio, una città e un proprio simbolo.
L’orgoglio vicentino è riemerso intatto da vent’anni di mediocrità, da una decadenza locale che non è solo del calcio e magari anche dal Covid e si è concretizzato in un sostegno corale, senza pause e senza riserve. Degno di un’occasione ben più importante che una gara di spareggio per evitare la Lega Pro.
Era una prova generale? Sì, senz’altro e i tifosi biancorossi l’hanno superata a pieni voti. È stata anche una lezione esplicita data alla società e a Renzo Rosso, che faranno bene in futuro a rispettare un pubblico come quello vicentino e a capire che è un asset per l’LR Vicenza a cui bisogna dare quello che si merita e che, magari, si è anche promesso.