“Per una società medio-piccola come il Vicenza sarebbe ancora possibile tornare a essere una Nobile Provinciale-2?”. La domanda di G.L. è davvero interessante anche se la maggior parte dei tifosi risponderebbe subito con un sì convinto quanto aprioristico, dettato dalla fede biancorossa. Le prospettive per una risposta sono molteplici (qui la rubrica “Poggi risponde ai lettori“, per inviare domande cliccate qui, ndr).
Storicamente, dal dopoguerra in poi, la società che rappresenta la città ha sempre vissuto alti e bassi, passando da un livello all’altro del calcio con una certa frequenza, tranne nel caso citato dal lettore e che si riferisce al Lanerossi Vicenza che è rimasto per vent’anni consecutivi (dal 1955 al 1975) nella massima serie.
Negli ultimi settantasei anni la società vicentina è stata per trentatre campionati in B, per ventinove in A e per quattordici in terza serie. Quasi due terzi delle presenze in Serie A risalgono però al ventennio della Nobile Provinciale e, nel nuovo secolo, per diciassette volte è stata Serie B e per quattro Serie C. L’ultima A risale alla stagione sportiva 2000-2001. La storia, soprattutto quella recente, indica che la categoria più consona al Vicenza sia quella Cadetta.
L’ascesa del Vicenza alla A è sempre stata legata a una proprietà forte e organizzata, tranne nel caso del Real Vicenza che è stato frutto solo della abilità personale del presidente Farina. Alle spalle delle altre promozioni ci sono state la Lanerossi (1955), la Trevitex (1996) e la Enic (2000), che misero alla presidenza del club Rodolfo Gavazzi, Pieraldo Dalle Carbonare e Aronne Miola. Due gruppi industriali e una finanziaria sono quindi stati i supporti della società.
Sotto il profilo sportivo gli uomini a cui si devono i passaggi dalla B alla A sono l’allenatore Aldo Campatelli e il suo vice Berto Menti nella prima, il presidente Farina e Giambattista Fabbri nella seconda, il manager Sergio Gasparin e il tecnico Francesco Guidolin nella terza, il direttore sportivo Lionello Manfredonia e, in panchina, Edy Reja nell’ultima. Tutte le squadre promosse, infine, erano composte da fior di giocatori: nel ’55 i “viareggini” scoperti e lanciati da Berto Menti, nel ’77 Paolo Rossi e l’ineguagliabile gruppo del Real, nel ’95 l’altro formidabile gruppo guidato da Mimmo di Carlo e Fabio Viviani, nel 2000 il mix di veterani e giovani con i due bomber Comandini e Luiso.
La ricetta per far diventare la società vicentina degna della Serie A e, quindi, di nuovo aspirante all'appellativo Nobile Provinciale, prescrive i soliti ingredienti: una proprietà con mezzi adeguati, dirigenti amministrativi e sportivi di alto profilo professionale, allenatori bravi anche se non necessariamente navigati, rose di giocatori adeguate e che abbiano all’interno dei leader.
Bisogna, però, tener conto del contesto in cui l’impresa si dovrebbe compiere. Numericamente, finché la Serie A rimarrà a venti squadre, non ci saranno ostacoli a farvi entrare tre o quattro società di provincia. Quando, però, si arriverà inevitabilmente a diminuire il numero dei club iscritti a diciotto o addirittura a sedici (e sarà inevitabile a causa dei sempre più numerosi impegni nelle Coppe dei top team e della necessità di ridurre i costi), è chiaro che il massimo campionato nazionale sarà riservato a una élite di società munite di una dotazione finanziaria, organizzativa e strutturale che non è alla portata di quelle medio-piccole.
Allo stato attuale, una provinciale strutturata da Serie B può aspirare al massimo a fare su e giù fra i due livelli, incassando i cospicui riparti dei diritti televisivi della A e i generosi (quanto antisportivi) “paracadute” che spettano alle retrocesse. Le poche eccezioni che ci sono in Italia, come l’Atalanta e il Sassuolo, sono dovute alla capacità di queste società di darsi una struttura fondata su un progetto sportivo sostenibile e, comunque, anche su investimenti iniziali non marginali.
C’è poi da fare i conti con la situazione economica della Serie A, che è in grave deficit (quest’anno il calo dei ricavi dovrebbe superare il venti per cento). I club che hanno alle spalle proprietà forti, che ormai sono in maggioranza gruppi finanziari e fondi di investimento internazionali, possono reggere grazie ai rifinanziamenti ma è impossibile la sopravvivenza per una provinciale che abbia magari come proprietari degli imprenditori locali.
Resta, infine, un problema enorme e la cui soluzione è sempre rinviata, a maggior ragione in questo momento della economia. Si parla degli stadi, che nel calcio moderno sono una importante fonte di ricavi (anche del venticinque per cento del fatturato) e che, in Italia, sono prevalentemente pubblici e obsoleti e quindi inadatti.
Con queste premesse è al momento improbabile ipotizzare per il Vicenza un futuro da Nobile Provinciale-2. La attuale proprietà sarebbe dotata dei mezzi necessari per la promozione ma, in questi primi tre campionati, non ha fatto investimenti faraonici. Il progetto sportivo che prevedeva la A in cinque anni è fallito e sembra giunto il momento, a prescindere dal mantenimento della categoria, per una rifondazione e per una progettualità diversa sia nelle tempistiche che nella strutturazione tecnico-organizzativa. Lo stadio, infine, con ogni probabilità resterà ancora per qualche anno nelle condizioni attuali, perché investire oggi decine di milioni di euro nel suo rifacimento sarebbe obbiettivamente fuori luogo.
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