Il lettore A.D.L., non importa se tifoso dell’Lr Vicenza, perché la questione che pone è generale, mi fa una domanda a cui potrebbe meglio rispondere un virologo: “come è possibile che i calciatori siano così esposti al contagio e si contagino l’un con l’altro?” (qui la rubrica “Poggi risponde ai lettori“, ndr). La Federazione ha approntato un protocollo anti Covid di ben trentatre pagine e lo aggiorna continuamente, l’ultima volta il 3 dicembre 2021.
I calciatori e il “Gruppo squadra” hanno, prima di tutto, l’obbligo della vaccinazione e devono quindi disporre del green pass rafforzato. I medici sociali, poi, sono tenuti a “monitorare il Gruppo sottoponendolo a una costante valutazione clinica e, se necessario, a test di laboratorio”. I responsabili sanitari del club devono anche “dare indicazioni a tutti i componenti del Gruppo sui comportamenti da tenere nelle diverse situazioni (spogliatoi, sala massaggi, riunione tecnica, sala pranzo, camera, etc.)” e “continuare a riservare particolare attenzione nella programmazione delle attività quotidiane”.
Il Protocollo federale prevede anche l’adozione di tutte le consuete misure (sanificazione dei locali, uso delle mascherine, distanziamento, ecc.) in occasione di gare e allenamenti e non solo per il Gruppo squadra ma anche per tutti gli addetti ai lavori che entrano in contatto con esso.
A queste regole specifiche per il settore si aggiungono quelle fissate per tutti i cittadini (tamponi, test e quant’altro) oltre alle normali precauzioni suggerite dal buon senso e dal rispetto verso gli altri. Dai calciatori, poi, ci si potrebbe anche aspettare una attenzione particolare nella vita privata proprio in considerazione del tipo di lavoro che fanno.
Eppure, nonostante questo quadro sanitario articolato e puntuale, i calciatori si contagiano e il Gruppo squadra diventa sempre un focolaio. Ciò non succede dappertutto e, da un lato, questo vuol dire che le cautele e le precauzioni funzionano nella maggior parte dei casi e, dall’altro, rende ancor più inspiegabili situazioni tipo Monza o Vicenza.
Evidentemente non può trattarsi solo di sfortuna, ci devono essere comportamenti sbagliati a livello individuale o gestioni approssimative dei protocolli a dare spazio alla diffusione del contagio e alla trasformazione di una squadra in un cluster Covid. La materia è coperta dalla privacy e quindi non sapremo mai cos’è successo. Ma le conseguenze di un contagio diffuso in un Gruppo di atleti professionisti è un grosso problema da affrontare nella programmazione dell’attività sportiva. Comunque, trattandosi di soggetti trivaccinati, si spera che la malattia si manifesti con sintomi leggeri o addirittura sia asintomatica.
Il lettore A.R.B. mi chiede “se i Rosso volessero vendere la società, quali scenari sarebbero possibili?”. Direi, per cominciare, che l’ipotesi di una cessione dell’Lr Vicenza mi sembra molto improbabile anche se i conti dovrebbero essere a posto e quindi si venderebbe una impresa sportiva economicamente sana. Il punto debole dell’offerta è la mancanza di appeal che, oggettivamente, ha la piazza. Il blasone, i campioni del passato, il legame con la Nobile Provinciale sono temi suggestivi per i tifosi ma non nel mondo del business calcistico. I dati che contano, lì, sono altri e il Vicenza purtroppo non ha grandi bellezze da mettere sul piatto. La Serie A manca da più di vent’anni, c’è stato di mezzo un fallimento, il pubblico è calato in misura drastica, non c’è ricambio generazionale negli spettatori, il bacino d’utenza si è ristretto, la dimensione provinciale della squadra ormai è un ricordo. Questo club produce pochi ricavi e non ha nemmeno le strutture per reggere il livello della Serie A. Da vent’anni si parla di stadio nuovo o, in alternativa, di ristrutturazione del Menti e si sta ripetendo la storia del teatro comunale, che è andata avanti sessant’anni.
Se anche OTB e i soci di minoranza cedessero la società gratis, e sinceramente ne dubito, un acquirente dovrebbe accollarsi un investimento di decine di milioni per puntare ad accedere alla massima serie con la prospettiva di restarci più o meno stabilmente. Oggi in Italia sono ben pochi o forse non c’è nessuno in grado di affrontare un impegno di questa portata e con prospettive economiche così incerte. Inutile sperare che un acquirente venga dal territorio, dove pur ci sono imprenditori che potrebbero permettersi di emulare Percassi e Squinzi ma, come si è visto in occasione dell’asta fallimentare, non hanno alcun interesse a cimentarsi nel settore dello spettacolo sportivo. La finanza vicentina e veneta non hanno mai fatto interventi nel calcio e, quindi, l’unica possibilità è che sia un fondo estero a vedere nel club biancorosso una opportunità di investimento com’è successo a Pisa, a Venezia, a Ferrara e altrove. Ma Vicenza potrebbe essere davvero una piazza in grado di attrarre investitori? Forse l’unico aspetto economicamente interessante è lo stadio, che ne rappresenta nel contempo uno dei punti deboli.
Credo, insomma, che l’Lr Vicenza resterebbe invenduto anche nel migliore dei casi e cioè che fosse regalato ma, come ho già detto, è una ipotesi inverosimile.