Un progetto è fatto di idee e di uomini che le realizzano. Quando i propositi non si trasformano in fatti e quando cambiano i soggetti scelti per farli diventare realtà, vuol dire una sola cosa: il progetto è fallito. Si può applicare al LR Vicenza questo sillogismo?
Partiamo dalla conferenza stampa (pardon: press conference, adeguiamoci al linguaggio Diesel suvvia) del 27 luglio 2018 in cui Renzo Rosso spiega per la prima volta il suo progetto per l’Lr Vicenza. L’obbiettivo principale è la Serie A entro cinque anni. Fattibile, pur considerando che sarebbe necessario salire due livelli per ascendere dal punto di partenza (la Lega Pro) alla meta finale.
Il patron dell’ex-Bassano Virtus si fa però subito uno sconto, perché il campionato 2018-2019 è derubricato a “anno zero” e estraniato di fatto dalla pianificazione quinquennale. I tifosi accettano senza obiezioni la aggiunta di una stagione sportiva al periodo ipotizzato per la rinascita biancorossa. Qualcuno – un po’ più attento e meno disposto alla fiducia incondizionata – fa notare che, così, il business plan (definizione di mr Diesel nell’incontro stampa) cambia mica poco perché la durata passa da cinque a sei campionati, e che non è molto manageriale modificare un progetto appena dopo averlo varato. Di Serie A se ne riparla, insomma, nel 2023-2024.
Il primo step (gradino, english sempre in ossequio) del progetto è centrato con un anno di ritardo rispetto alle previsioni iniziali: nel 2020 il Vicenza vince il Girone B della Serie C e sale fra i Cadetti. Al momento l’entusiasmo è talmente forte che non si tiene nel dovuto conto che il risultato sportivo è agevolato dalla sospensione del campionato a due terzi (con i biancorossi in testa con solo cinque punti di vantaggio sulla seconda in classifica) e che una opinabile decisione federale favorisce le tre squadre capolista decretandole sul campo promosse mentre le inseguitrici devono assoggettarsi a partecipare ai playoff in luglio.
Nel primo anno di B nessuno si sogna di chiedere alla proprietà se si può già pensare alla seconda promozione. Il mondo è stravolto dalla pandemia, già tanto che si riesca a portare a termine un campionato. Nella allora via Schio non si ribattezza di nuovo “anno zero” la stagione 2020-2021 ma, in pratica, tale è. La faticosa salvezza è accettata come un risultato compatibile con il progetto, sono perdonate e dimenticate certe sparate societarie che parlano di lato sinistro della classifica e magari qualcosa di più. Ben pochi si rendono conto che, invece, non si sta costruendo nulla e che, anzi, si delinea una modalità di costruzione della rosa fondata su prestiti, svincolati e giocatori a fine carriera. Oppure di acquisti (molto onerosi) di calciatori non all’altezza.
Nessuno poi si accorge che, anche fuori dal campo, il progetto è fermo. Lo stadio, requisito centrale e indispensabile per arrivare sensatamente in A, è tale e quale a vent’anni fa salvo qualche parziale manutenzione straordinaria pagata dal Comune e quindi da tutti i vicentini, compresi quelli che del calcio non gliene frega niente. In società parlano da un paio di anni di un misterioso progetto di fattibilità, rispolverato la settimana scorsa con sospetta tempistica, e la Giunta rinnova per la seconda volta la convenzione a costo zero per l’LR Vicenza.
Il quarto anno è cominciato da quattro mesi, è quindi già a un terzo del percorso, e si è davanti a un disastro inaudito che fa temere addirittura un passo indietro, una retrocessione. Questa ipotesi sarebbe la mannaia per il progetto di Renzo Rosso. Pur mantenendo la categoria, oggi come oggi ben comunque difficilmente si potrebbe portare i biancorossi in due stagioni nella massima serie, dovendo rifare radicalmente la squadra l’anno prossimo e, soprattutto, ricostruire nel frattempo il Menti per adeguarlo alla capienza e ai requisiti richiesti dalla Lega di Serie A.
Il fallimento del progetto porta all’allontanamento di alcuni degli uomini a cui è stato affidato. L’area sportiva è decapitata totalmente: via Mimmo Di Carlo, allenatore-icona chiamato a saldare la grande storia del calcio vicentino con quella ben più modesta del subentrante calcio bassanese. E via anche il direttore sportivo Giuseppe Magalini, uomo-mercato ma anche corresponsabile con l’allenatore delle scelte tecniche.
Al momento, quindi, il committente ha individuato in queste due figure i responsabili del fallimento. A torto o a ragione, non lo sapremo mai. Certe cose sono state fatte da quelli in piena autonomia o soggiacendo a decisioni e limiti provenienti dai piani superiori? Errori o percorsi obbligati? Comunque sia, Di Carlo e Magalini sono stati due errori di chi li ha scelti per realizzare il progetto, e, anche di questo, qualcuno deve prendersi la responsabilità. Vedremo se l’epurazione continuerà colpendo anche qualcuno dell’area amministrativa-gestionale.