Il 23 febbraio 2015 la dott.ssa Francesca Loy, P.M. presso la Procura della Repubblica di Roma, a cui erano state trasferite le indagini su Veneto Banca “per competenza”, non senza qualche dubbio, poi confermato dal recente loro “ritorno” a Treviso, confermatasi loro sede naturale, nominò un proprio C.T. ai sensi dell’art. 359 c.p.p. nel procedimento penale n. 60908/14 R.H.R. mod.21, relativo alle vicende dell’istituto di Montebelluna, scegliendolo fra gli ispettori dell’ufficio di Vigilanza Bancaria e Finanziaria di Banca d’Italia.
Le esigenze di svolgere indagini su Veneto Banca erano conseguenti all’esito (negativo) della verifica ispettiva svolta da Bankitalia, iniziata nel gennaio 2013 e conclusa a fine agosto dello stesso anno e in cui erano state evidenziate anomalie riguardanti: a) la gestione del credito; b) la governance; c) il finanziamento del capitale sociale.
Il team ispettivo (sorprendentemente cambiando il giudizio da esso stesso espresso sull’istituto bancario, in una immediatamente precedente verifica, il cui verbale era stato consegnato nel luglio 2013) aveva notificato il proprio rapporto al CdA in data 6 novembre dello stesso anno; ma, il giorno precedente, senza neppure attendere le controdeduzioni, l’aveva consegnato alla Procura della Repubblica di Treviso, ovviamente sul presupposto che fossero emerse ipotesi di reato.
La Procura di Roma aveva preteso l’attribuzione a sé della cognizione delle vicende e quella di Treviso, senza esitazione alcuna, si era spogliata di tutto l’incartamento, trasferendo agli uffici giudiziari della capitale tutti gli atti relativi alla vicenda Veneto Banca via via pervenutile.
Questa è la genesi dell’incarico di “consulente di parte” (ai sensi dell’art. 359 c.p.p.) attribuito al dott. Luca Terrinoni, ispettore della Banca d’Italia. A lui è stato chiesto di riferire al PM in merito ad operazioni di finanziamento ai soci per l’acquisto di azioni, con specifico riferimento alla “compatibilità nell’ambito della consistenza del patrimonio di vigilanza dei prestiti subordinati”, nonché alle “eventuali comunicazioni non rispondenti al vero inviate a Banca d’Italia e a CONSOB in merito alla consistenza del patrimonio di Vigilanza e, più in generale, ai dati di bilancio che connotano l’assetto economico e finanziario”.
Il quesito formulato al C.T. conteneva, poi, la seguente frase finale, stereotipa e di rito: “quant’altro utile ai fini di giudizio”.
E’, dunque, chiaro che quel quesito, molto specifico, non autorizzava il CT (consulente del Pubblico Ministero, che è una parte nel processo penale), ad interpretare il proprio ruolo come riferito a tutte, indistintamente, le vicende della banca ed a tutti, indistintamente, coloro che vi operavano. Per di più, l’incarico al C.T. era limitato al periodo “dall’anno 2010 ad oggi”, cioè al 23 febbraio 2015.
Nulla di più, anche perché la frase residuale finale non aveva alcun autonomo sostanziale significato, e che comunque, andrebbe, pur sempre, riferito al tema delle attribuzioni di credito ai soci.
Nonostante ciò, il consulente del P.M. ha voluto essere il braccio armato della Procura ed ha interpretato il proprio incarico come una sorta di autorizzazione a mettere sotto la sua lente d’ingrandimento indagatoria tutte le persone che, nel passato o nel presente, hanno avuto a che fare con Veneto Banca (compresi quelli – come il sottoscritto – che si sono occupati della banca ben dopo il 2015) e per qualsiasi vicenda, pur successiva al 2015.
Il suo malcelato obiettivo era quello di portare a Roma la testa di Consoli (cioè del soggetto che, nell’ottica di Bankitalia e secondo il tradizionale metodo dello scaricabarile, avrebbe dovuto essere il principale responsabile di quella che è stata definita “una tempesta perfetta”). E, così, l’ispettore Terrinoni non ha mancato di interpretare il ruolo dell’indagatore pure su ipotetici fatti di gossip, su narrazioni di dispendiosi viaggi di piacere, su presunti squallidi aspetti personali della vita quotidiana della banca: circostanze, tutte, frutto di una fertile fantasia sensazionalistica…
E di questa grave anomalia di fondo è significativa ad esempio anche la mail datata 6 maggio 2016 ore 16,20 (cfr. “Veneto Banca, la mail di Terrinoni del 6 maggio 2016 su segreto istruttorio e sicurezza informativa“) con la quale il Terrinoni – il giorno successivo dell’insediamento del nuovo CdA, seguito all’assemblea dei soci chiamati al voto – ha perentoriamente intimato ai vertici amministrativi della banca di mantenere il “segreto istruttorio” sulla sua indagine in corso, avvertendoli che il contenuto della sua attività (fosse essa “di reportistica già formalizzata, di provvedimenti, documenti, appunti, ovvero di ciò di cui siete a conoscenza per aver collaborato o perché collaborate con me” non avrebbe potuto essere “messo a disposizione se non dalle Persone legalmente autorizzate”; in caso di dubbio, gli operatori avrebbero dovuto chiedere autorizzazione solo a lui!
C’è da rimanere basiti: anzitutto, quali erano le persone “legalmente autorizzate”? E perché mai i membri del nuovo CdA, a differenza di quelli precedenti, avrebbero dovuto essere tenuti all’oscuro delle sue iniziative (di consulente del PM, non – si ricordi bene – di consulente del giudice)?
Non può, dunque, che sorprendere che un ausiliario del Pubblico Ministero – che, secondo la costante giurisprudenza della Corte Suprema, ha, comunque, il dovere di obiettività e imparzialità, che lo obbliga, sempre e comunque, a ricercare la verità – abbia avuto la pretesa di sorvegliare (in prima fila) i lavori dell’assemblea dei soci del 5 maggio 2016 e, una volta preso atto che essi prendevano una piega a lui (e alla BCE ) non gradita, si è precipitato nella sede centrale di Veneto Banca con alcuni dirigenti preposti ai vari servizi bancari per “mettere al sicuro” – così poi dirà – i documenti che lui aveva trovato di suo interesse.
Il giorno dopo, ha inviato la lettera di avvertimento di cui sopra, quasi fosse il commissario della banca, pretendendo di esprimere giudizi su fatti e persone del tutto estranei all’ambito delle indagini richiestegli. Poi, nella sua relazione, si è avventurato in considerazioni negative su membri del nuovo CdA (nominato il 5 maggio 2016, dunque dopo l’anno 2015), per il solo sospetto che essi fossero (o fossero stati) vicini a Vincenzo Consoli, ripetutamente e apoditticamente indicato come il principale soggetto da colpire.
Il Terrinoni non ha esitato a scrivere (lui, CT di parte del PM) che BCE aveva individuato in Carrus, amministratore delegato di Veneto Banca fino al 6 maggio 2016 e poi direttore generale, “il punto di riferimento” del progetto di risanamento (chiamato”Serenissima”) il quale poteva contare “su una pur risicata maggioranza in consiglio di amministrazione (per metà composto da membri ancora condizionati dai legami con Consoli) nonché sulla parzialmente rinnovata squadra dirigenziale”.
“Tale prospettiva – si legge ancora nella sua relazione pag. 24 e pag. 19 – è radicalmente mutata con l’assemblea dei soci … del 5 maggio (2016) che … ha eletto al Consiglio di amministrazione dodici esponenti della lista alternativa a quella promossa dal consiglio nascente, sulla quale si concentravano le attese delle Autorità di controllo per la prosecuzione del progetto …”.
Sono tutti eventi successivi al 2015, limite invalicabile delle sue cosiddette indagini!
In ogni caso, ora si scopre che è, dunque, vero che BCE voleva far prevalere, nella votazione prevista per l’assemblea del 5 maggio 2016 (quella alla quale lo stesso Terrinoni aveva voluto assistere, seduto in prima fila), la lista espressa dal vecchio board in danno dell’altra, espressa dai soci! E con quale potere?
Non era, forse, questa un’inaccettabile prevaricazione dell’Autorità di Vigilanza sulle libere scelte di una società di capitali (tale era, allora, la popolare di Montebelluna), chiamata a decidere sul proprio destino?
Quale era il potere di Terrinoni (comunque, ad oggi, assolto in un procedimento aperto contro di lui proprio su denuncia dell’autore di questo approfondimento, ndr) di censurare, nella sua relazione di CT del PM, il comportamento (peraltro successivo al limite temporale indicato nel suo mandato) di persone che neppure conosceva, per il solo sospetto che esse fossero legate a Consoli?
È grave che la Vigilanza Europea abbia parteggiato per una delle due liste di candidati ad un consiglio di amministrazione di una s.p.a. bancaria con un’ingerenza sconosciuta in qualsiasi Paese civile.
Queste vicende sono rimaste, purtroppo, ancora nell’ombra per i tanti soci che vedevano nella Vigilanza uno strumento di riferimento per l’attuazione del precetto costituzionale della necessaria tutela del “risparmio” e che non avrebbero mai dubitato della lealtà comportamentale e della terzietà di quell’Authority: la quale, invece, a detta di Terrinoni, ha voluto forzare la trasformazione delle banche popolari in s.p.a., con il decreto del 2015; ha puntato, gravemente errando, su una parte del vecchio board per un’improbabile rilancio della banca, demonizzando Consoli; ha tracciato, ostacolando un serio aumento di capitale fra i soci, la strada al Fondo Atlante e, alla fine, ha favorito il grande dono a Banca Intesa, destinataria finale dei risparmi dei poveri e, poi, impoveriti soci.
In questo contesto, è grave che un ausiliario del PM, pubblico ufficiale ai sensi dell’art. 357 c.p., abbia marcatamente travalicato i limiti del proprio mandato, finendo altresì per ammettere che la Vigilanza bancaria non era imparziale e che faceva il tifo, in una competizione elettorale libera e riservata ai soli soci, per “Bolla, Benvenuto, Carrus” e C. (pag. 19)…
Certo è che, in seguito, se il nuovo board si fosse rivelato non all’altezza dei suoi compiti, allora, ma solo allora, la Vigilanza avrebbe avuto il potere di intervenire adeguatamente: ma osteggiare a priori, e ancor prima dell’assemblea, taluni candidati, preferendone altri, corrisponde ad un’intollerabile e illegittima ingerenza.