Lufthansa sostiene il linguaggio inclusivo. “Agorà. La filosofia in Piazza”: non più «Signore e Signori», ma altre espressioni inclusive

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Lufthansa adotta il linguaggio inclusivo
Lufthansa adotta il linguaggio inclusivo

Forse uno dei motivi principali per cui ho sempre avuto una particolare avversione per la dicotomia grammaticale e lessicale maschile/femminile, e per tutto quel corredo didattico che cercava di spiegare che il maschile termina con la -o, infatti “Antonio è bravo”, e il femminile con la -a, per cui “Maria è buona”, va fatto risalire alla mia infanzia, alle prime esperienze scolastiche con la maestra Mariolina.

Nulla di psicoanalitico o sessualmente deviante, ovviamente, ma semplicemente questa regola grammaticale che costringeva a “costruire” il maschio con la -o e la femmina con la -a non mi apparteneva e mi metteva molto a disagio, perché io ero – e così poi sono rimasto – Michele e si dava il caso che fossi anche io un maschietto, eppure il mio nome terminava con la -e.

A ripensarci, a distanza di decenni la situazione mi sembra molto ridicola, anzi proprio infantile, del resto ero un bambino, eppure ricordo il disagio di quel frangente, in cui cercavo di capire il funzionamento della lingua che costruisce la realtà, che nomina le cose e le fa esistere, soprattutto le mostra agli altri per come il linguaggio le ha forgiate…beh, forse non erano, all’epoca, proprio queste le idee che frullavano nella mente di quel bambino, ma credo di poter degnamente interpretare oggi in questo modo quelle che erano le sue considerazioni.

Poi il tempo è passato, alcuni disagi sono passati, ma ne sono arrivati altri, tuttavia l’attenzione al linguaggio che costruisce il mondo è sempre rimasta viva e, forse, anche per questo motivo oggi si sente una particolare vicinanza con gli “studi di genere” o Gender studies (lo ripetiamo, a scanso di equivoci, non “teoria” o “ideologia” di genere), in particolare quelli di Judith Butler, con la quale si condividono alcune passioni, tra cui Foucault, Derrida ed, evidentemente, il costruzionismo, cioè quella corrente sociologica e filosofica che impedisce ai post-strutturalisti di elaborare tecnicamente delle “teorie” o di appoggiare delle “ideologie”[1].

Ora, è proprio questa attenzione nei confronti del linguaggio che ci mette in guardia tutte le volte in cui viene costruita con l’uso delle parole una informazione, una notizia a partire da un mero fatto che deve, in qualche modo, essere interpretato.

Il fatto è che la Lufthansa, la maggiore compagnia aerea tedesca, ha deciso di dismettere la vecchia formula di accoglienza dei passeggeri «Signore e Signori…» in favore di «Gentile cliente, benvenuti a bordo!» o qualcosa del genere, a discrezione del personale di bordo. La decisione è stata annunciata dalla portavoce della compagnia, Anja Stenger, la quale ha affermato testualmente, ovviamente in tedesco, «La diversità per noi non è una frase vuota, da ora vogliamo esprimere la nostra attenzione al linguaggio».

C’è da dire che già a partire dall’affermazione della portavoce, la nostra ammirazione nei confronti della Lufthansa non può che crescere, dopo che già aveva avuto l’approvazione per uno dei migliori viaggi aerei mai fatti a livelli di comfort, dove, tra l’altro, per chissà quale motivo finimmo in business class…ma questa è un’altra storia. I tedeschi, poi, si sa, sono particolarmente fissati con il linguaggio e chi ha avuto la possibilità, per studio o per passione, di trafficare con parole come Wirkungsgeschichte (semplicemente “Storia degli effetti”!) oppure con Geisteswissenschaften (nientemeno che “Scienze dello spirito”!) o anche con Trokenbeerenauslese (è un buonissimo vino dolce ottenuto da uve vendemmiate tardivamente) sa bene che, a differenza di noi italiani, i tedeschi con le parole tendono ad essere un po’ più precisi.

Premesso, dunque, che condividiamo con Anja Stenger la necessità di porre attenzione al linguaggio e di dare seguito, concretamente, alle misure che facciano sentire i clienti a proprio agio, non possiamo che condividere anche questa Policy dell’azienda di abbandonare un linguaggio pregiudicato da un retaggio dualistico per cercare altre soluzioni. Comprendiamo anche il fatto che, sempre tra le Policy del colosso del trasporto aereo, ci sia l’idea che sia sempre più indicato personalizzare un servizio in base alla tipologia di cliente perché è questo riconoscimento che fa sentire i soggetti inclusi e accolti all’interno di una società che ha l’ambizione di essere più equa.

È chiaro, anche, che ciascuno ha la sua storia personale, una formazione alle spalle, determinate esperienze, magari emotivamente pregnanti, tutte componenti che pregiudicano la comprensione degli eventi e che aprono un gap tra l’uso denotativo del linguaggio, che dovrebbe limitarsi a stabilire un nesso quasi immediato tra parola e oggetto, e l’uso connotativo del linguaggio, cioè quello che esprime, sempre mediante la parola, un significato con tonalità emotivamente sbilanciate.

Detto ciò, l’esercizio che proponiamo al lettore, anche solo per dare l’idea di come non sia necessario arrivare a inventare di sana pianta delle fake news per alterare politicamente l’informazione, è quello di confrontare il linguaggio adottato dalle varie testate a proposito della notizia che abbiamo qui riportato. Tra tutte, vorremmo segnalare l’uso improprio, come abbiamo cercato di argomentare anche altrove, che una collega de ilGiornale.it fa dell’espressione “teoria gender”, così come vorremmo far notare l’aspetto connotativo presente già dalla prima frase, quando parla di «deriva del politicamente corretto».

Eppure c’è un aspetto interessante nell’articolo della collega, cioè il riconoscimento del fatto che quella della Lufthansa sia una «nuova policy», cioè un nuovo modo di rispondere da parte di soggetti pubblici o privati all’insorgenza di un problema collettivo con misure civili, eque, dignitose e, in quanto tali, necessarie e non da sottoporre, invece, al vaglio delle interpretazioni partitiche: ecco, questa confusione tra policy e politics resta ancora un tema da approfondire in Italia.

[1] Cfr. J. Derrida, Come non essere postmoderni, Medusa, Milano 2002.


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a cura di Michele Lucivero

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