È un caso che deciderà il futuro del giornalismo. Domani, un giudice inglese stabilirà se il fondatore di WikiLeaks dovrà essere estradato negli Stati Uniti, dove rischia una pena di 175 anni. Il Fatto Quotidiano ha chiesto un’analisi al reporter islandese, Kristinn Hrafnsson, direttore dell’organizzazione.
Lei ha lavorato per WikiLeaks fin dal 2010: andò a Baghdad a rintracciare i due bambini iracheni feriti in modo gravissimo dall’elicottero americano Apache che si vede nel video Collateral Murder. È proprio per aver rivelato i documenti segreti del governo Usa sulle guerre in Afghanistan, in Iraq, i cablo della diplomazia e i file di Guantanamo che Julian Assange rischia 175 anni di carcere. Le ha mai detto: ‘voglio smettere, perché il rischio è troppo alto’?
No. E avrei capito se l’avesse detto a un certo punto, soprattutto dopo anni in cui è rimasto confinato nell’ambasciata a Londra. Era una battaglia troppo importante per lui.
I documenti sulla guerra in Iraq hanno permesso di rivelare 15mila vittime civili mai emerse prima, mentre i cablo hanno consentito a innocenti come Khaled el-Masri – rapito dalla Cia con un’extraordinary rendition per un errore di persona, torturato e stuprato – di appellarsi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Eppure, dopo averli pubblicati Julian Assange non ha più conosciuto la libertà. È accettabile?
È una vergogna. Alcuni hanno preso posizione in modo fermo contro l’estradizione, ma anche nei media mainstream c’è stata una mancanza di volontà di capire la gravità della situazione, in parte a causa della campagna di delegittimazione contro Julian Assange. Fortunatamente, vedo un cambiamento, iniziato l’anno scorso dopo l’arresto e l’incriminazione. Ovviamente, è dettato da ragioni di interesse, non di principio: se viene estradato e condannato, è la fine del giornalismo che indaga sulla sicurezza nazionale. Nessun giornalista al mondo sarà al sicuro, se vorrà praticarlo.
L’inviato speciale Onu contro la tortura, Nils Melzer, ha dichiarato che ‘è stato intenzionalmente torturato psicologicamente da Svezia, Inghilterra, Ecuador e Stati Uniti’. Come l’ha trovato in carcere?
Sono riuscito a fargli visita poche volte, poi a causa del Covid tutte le visite sono state bandite. Gli causa un gravissimo stress e la sua salute è minata. Sono scioccato dal vedere quanto peso ha perso, come a volte fosse giù e quanto fosse invecchiato. Quando ci siamo incontrati era dieci anni più giovane di me, un uomo dall’aspetto di un ragazzo, dieci anni dopo ha perso molto più di dieci anni in salute e tutto il resto. Ovviamente, Nils Melzer ha ragione: è stata usata tortura psicologica, guerriglia legale e intimidazioni. Quello che lo mantiene in vita è il fatto di sapere di aver fatto la cosa giusta e nell’interesse di tutti. È una persona con grande resilienza. Se questa situazione si risolverà presto, riuscirà a recuperare e a riprendere il giusto posto nella società con la sua fidanzata e i suoi figli e anche come persona che può contribuire molto al dibattito pubblico.
In questi dieci anni la sua compagna e i suoi figli non lo hanno mai incontrato da uomo libero, mentre i torturatori della Cia non hanno mai passato un giorno in prigione…
È un’ingiustizia così brutale che è scioccante come l’opinione pubblica non sia più indignata. A chi ha commesso tutti i crimini rivelati da Julian Assange e WikiLeaks è stata garantita l’impunità. L’unico che ha pagato è chi ha rivelato quei crimini. Assurdo.
E nessuno delle decine di giornalisti che hanno pubblicato le stesse rivelazioni, incluso chi scrive, è mai stato messo in prigione, non è allucinante che lui sia l’unico?
È allucinante: fanno a pezzi Julian Assange per farne un esempio e mandare un segnale agli altri giornalisti e dire che loro saranno i prossimi. Credo che questo segnale abbia già avuto un effetto intimidatorio: i giornalisti che erano media partner sono rimasti in silenzio, solo ora hanno iniziato a parlare.
Se finirà estradato e in prigione a vita, sarà la prima volta nella storia degli Stati Uniti che un giornalista va in galera per aver pubblicato informazioni vere e nel pubblico interesse. Non è la fine della libertà di stampa?
Sarà il più grande attacco alla libertà di stampa dei nostri tempi, una sorta di ferita che ci riporterà in tempi oscuri, perché non avremo alcuna garanzia di poter operare secondo i nobili valori della stampa e svolgere il nostro lavoro. Un colpo devastante.
di Stefania Maurizi, da Il Fatto Quotidiano
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