Dal 7 all’11 settembre davanti ai tribunali italiani avrà luogo Madri in rivolta, manifestazione di protesta contro la violenza istituzionale che massacra le madri, le loro figlie e i loro figli. Confermati i sit-in di numerose città tra cui Milano, Roma, Torino, Parma, Padova e Firenze.
L’iniziativa, a cui aderiscono varie associazioni quali Collettivo Donne InCuranti, Collettivo Femminista Radicale Luna Rossa, Madri Unite contro la violenza istituzionale
Maternamente, MovimentiAMOci Vicenza, Onda Femminista Radicale, Terra di Lei Napoli, nasce per dire basta alla violenza istituzionale, agli allontanamenti ingiustificati di figlie e figli, sottratte/i alle madri con modalità indegne di un paese democratico e civile. Bambine, bambini e adolescenti che hanno tutto il diritto di non voler frequentare padri violenti, e che pure vi sono costretti.
Sono troppi anni ormai, dall’approvazione della Legge 54/2006 sull’affido condiviso, che assistiamo al sistematico maltrattamento istituzionale, morale e materiale delle madri, delle loro figlie e figli. E tutto ciò in nome della “santa bigenitorialità”, ovvero, di fatto, del diritto astratto del padre.
La cara vecchia “patria potestà” insomma, propugnata per motivi apparentemente opposti sia dai sostenitori della “famiglia tradizionale” che da quelli della “retorica paritaria”, con enormi problemi non solo nelle separazioni giudiziali, ma anche nelle c.d. consensuali, con madri tenute sotto minaccia di segnalazioni ai servizi sociali, denunce al tribunale e possibile sottrazione dei figli.
Il principio astratto della bigenitorialità non tiene conto dell’asimmetria di potere tra i sessi e viene sostenuto da “esperti” (psicologi, neuropsichiatri infantili, pediatri, psichiatri) che declassano sistematicamente la violenza a conflittualità di coppia. Quest’ultima, così come l’attaccamento materno, sono considerate alla stregua di gravi patologie da combattere, per così dire curare, con tutti i mezzi, e madri e figli diventano pericolosi soggetti resistenti all’ordine costituito: quello del “comunque Padre”. Se una figlia o un figlio osa mettere in discussione questo ordine costituito e si rifiuta di vedere il padre, viene minacciata/o di allontanamento forzato dalla madre e collocata/o nelle strutture di “rieducazione”, spesso separata/o anche da eventuali fratelli o sorelle, o persino affidata/o al padre violento.
Bambine/i ed adolescenti divengono quindi persone usate dalle istituzioni prima come arma di minaccia, esattamente come fanno gli uomini violenti, e poi come accessori di pena. La “Santa Bigenitorialità” è a senso unico: quando finalmente i bambini sono stati allontanati dalle loro madri, infatti, non è prevista: le madri perdono il diritto di vedere le proprie figlie e i propri figli!
Questo stato di cose, così penoso per molte persone innocenti, è però un vero e proprio “banchetto” per tante altre: sulla pelle di donne e bambine/i si costruiscono carriere, reputazioni, potere e ricchezza, come nella migliore tradizione patriarcale.
Consideriamo la Legge 54/2006 lo strumento legislativo che ha permesso di apparecchiare questo banchetto, introducendo principi e pratiche molto discutibili: la bigenitorialità obbligatoria intesa a priori come “maggiore interesse del minore”; la conseguente degradazione dei minori ad oggetti di spartizione tra persone adulte; l’illusoria equivalenza dei ruoli di madre e padre e la negazione della specificità del legame materno. Una situazione che sta creando gli stessi enormi problemi in tutti i paesi in cui sono state adottate legislazioni simili, in Europa e Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Brasile.
Per tutto quanto detto sopra chiediamo l’interruzione immediata di questa macelleria istituzionale contro le donne e i minori, nonché il rispetto del principio di tutela della salute psicofisica di adolescenti, bambine e bambini.