
Suscita sempre maggiore attenzione il caso della maestra d’asilo di 29 anni sospesa dall’insegnamento in una scuola del Trevigiano per via della sua attività su OnlyFans. Il tema è di quelli caldi, che riempiono facilmente i talk show in tv e dei quali sui social si ama discutere, soprattutto finché non si è direttamente coinvolti. Si sprecano i commenti tra “una persona nelle sue ore libere fa quello che vuole”, “se fa bene la maestra che male c’è” e “sì, ma proprio OnlyFans…”, e nel mezzo, ovviamente, ci stanno le solite accuse al Veneto bigotto, ai genitori scandalizzati che però evidentemente il sito lo frequentano, alle scuole cattoliche che badano alle apparenze invece di preoccuparsi di scandali ben più seri insomma, le classiche critiche ai sepolcri imbiancati e al perbenismo di facciata, in un’atmosfera non troppo diversa da quella raccontata in film come Signore e Signori.
Si può discutere finché si vuole sul fatto che sia o no opportuno che una maestra sia anche una content creator di OnlyFans, un sito per adulti, ma a fare testo, senza farsi prendere troppo dall’emotività, che non porta da nessuna parte, è quel che dice la legge: dal punto di vista legale, la scuola poteva sospendere la maestra?
In merito è piuttosto esaustivo il comunicato diffuso dall’Avv. Alessandro Daverio, socio dello Studio Legale Daverio&Florio, esperto in diritto del lavoro. Stabilendo innanzitutto che la scuola per cui lavora la maestra rientra nella categoria delle cosiddette organizzazioni di tendenza, l’avv. Daverio spiega: «Non si tratta di un datore di lavoro “ordinario”. Parliamo di enti religiosi, scuole confessionali, sindacati o fondazioni che si fondano su valori ideologici precisi. La legge riconosce a queste realtà un margine più ampio nella gestione dei rapporti di lavoro (anche in tema di licenziamento). In particolare, viene escluso il diritto alla reintegrazione, anche se il licenziamento è sbagliato. Di solito questi datori di lavoro prevedono clausole contrattuali esplicite al riguardo. Quindi se un dipendente adotta comportamenti ritenuti incompatibili con i valori fondanti dell’ente, il rapporto può legittimamente interrompersi, anche senza reintegrazione».
Come nel caso, in effetti verificatosi, di un professore universitario che, insegnando in un ateneo cattolico, si è dichiarato pubblicamente ateo: «In casi come questi – continua Daverio -, la legge tutela l’identità dell’ente più della stabilità del contratto di lavoro.»
Attenzione però, i valori dell’ente non possono diventare alibi per licenziamenti discriminatori: «Scelte personali, orientamento sessuale o semplicemente convinzioni o comportamenti privati, per quanto discutibili agli occhi di qualcuno, non possono giustificare sanzioni se non hanno un impatto concreto sull’attività lavorativa o sull’immagine dell’ente stesso. La tutela della persona e dei suoi diritti fondamentali resta un presidio imprescindibile.»
Nel caso di organizzazioni private in generale, in linea di principio, le condotte extra-lavorative sono irrilevanti, anzi, il datore di lavoro non può indagare sulle abitudini o opinioni personali del dipendente. A fare la differenza è l’impatto concreto sul lavoro o sull’immagine dell’ente, cioè «Se l’attività – come nel caso di OnlyFans – genera un effetto reputazionale negativo, e l’ente ha una precisa identità etica o ideologica, allora la valutazione diventa più complessa. Ma deve sempre basarsi su elementi oggettivi, non su moralismi personali».
Sulla questione poi, ricorda ancora Daverio, c’è pure l’aspetto del doppio lavoro, perché creare contenuti su OnlyFans non è solo un modo di esprimersi, ma diventa una fonte di guadagno, anzi, secondo quanto raccontato dalla maestra in questione, i guadagni di OnlyFans sono assai più consistenti di quelli derivati dall’insegnamento. «In sé il secondo impiego non è vietato – spiega l’avvocato – ma deve essere compatibile con il lavoro principale. Se svolto in orari notturni o in modo tale da compromettere il riposo e l’efficienza, può rappresentare una violazione degli obblighi contrattuali.»
In conclusione, secondo Daverio: «La vicenda va letta alla luce della specificità dell’ente coinvolto, ma senza perdere di vista l’equilibrio tra tutela dell’identità dell’organizzazione e diritti fondamentali del lavoratore. Ogni valutazione deve essere concreta, proporzionata e mai strumentale.»
L’avvocato giustamente non si sbilancia: il caso è spinoso perché se davvero la maestra è amata dai bambini e fa bene il suo lavoro, non c’è motivo di licenziarla per quello che fa finite le ore di lavoro, a meno che non fosse stato scritto nero su bianco sul contratto di assunzione, perché la definizione “condotte incompatibili con i valori fondanti dell’ente” è piuttosto generica.
Al di là della legge, forse ad essere incompatibile, ma non con la “cattolicità” della scuola, bensì con la logica, è che il lavoro di insegnante, con quello che richiede in termini di preparazione e impegno costante e con la grande responsabilità che ha verso le giovani menti, sia pagato molto meno di un contenuto su OnlyFans, che indubbiamente richiede creatività e doti artistiche, ma non può essere paragonato al lavoro di chi forma gli adulti del futuro.