Tra le mafie "importate" nella nostra regione ne esiste una che ancora oggi è abbastanza misteriosa ed oscura, la "mafia nigeriana".
Come scrive Federica Cabras nel 2014, il crimine organizzato nigeriano non può avere "...una definizione univoca...", in quanto esso "...costituisce un sistema piuttosto che un'unica struttura, composto da cellule di differente caratura criminale organizzate al loro interno da una struttura verticale in grado, al contempo, di agire isolatamente quali componenti di una struttura reticolare".
Definizione certamente di non facile comprensione, ma proviamo a spiegarla con parole semplici: questa mafia non è un fenomeno definibile come una struttura unica, sullo stile "mala del Brenta" della quale abbiamo già parlato, che pur essendo una federazione di bande aveva comunque una minima centralizzazione, quantomeno nella figura di Felice Maniero. La mafia nigeriana è composta da vari gruppi e singoli capaci di affiliarsi e sciogliersi anche dopo aver portato a termine un solo lavoro criminale, senza un accentramento né una gerarchia definita dei ruoli.
Però il sistema non si ferma qui: esistono, all'interno di esso, strutture definite "Cults", originariamente associazioni studentesche delle università nigeriane divenuti veri e propri clan criminali con propri riti iniziatici, una propria gerarchia, una propria struttura.
Questi Cults sono diventati noti in Italia con i propri nomi, in particolare la "Black Axe" (Ascia Nera), la quale è spesso utilizzata impropriamente come sinonimo della stessa "mafia nigeriana".
Tali gruppi in patria sarebbero però collegabili ad "imprese criminali" ben più grandi e strutturate, autentiche holding: tali supposti legami hanno fatto sorgere alcune ipotesi che vedrebbero i vari Cults come niente altro che rami di un'unica organizzazione, gestiti da un unico vertice. Non è una certezza ma un dubbio, che viene esposto nel novembre del 2019 dall'attuale procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, il quale ha ricordato come anche per la 'ndrangheta si sia arrivati solo nel 2010 ad individuare un livello di coordinamento superiore a tutte le cosche.
La mafia nigeriana nel territorio veneto al contrario delle mafie italiane non si insinua in profondità nel tessuto economico, ma alimenta la criminalità collegata al traffico di droga, alla prostituzione, all'immigrazione clandestina ed alle estorsioni.
E' del Novembre 2016 la notizia che è stato arrestato a Zevio (Verona) un importante boss della "Black Axe", mentre nel Luglio 2019 finiscono in manette, sempre a Verona, degli affiliati ai "Maphite", altro cult nigeriano. A dicembre del 2019 viene smantellata un'organizzazione che gestiva buona parte dello spaccio nelle strade di Trento, con Vicenza e Verona come basi di rifornimento e di partenza.
È del 10 Luglio 2018 invece una maxi operazione in zona stazione a Mestre, dove viene colpita un'organizzazione facente parte del circuito del Cult "Eiye". Il leader del gruppo sfugge all'arresto fino al febbraio del 2019, quando viene catturato in Germania, da dove aveva continuato a gestire e controllare gli affari della banda. Questo gruppo mestrino-veneziano era motore dello spaccio di "eroina gialla", una particolare nuova qualità della droga, responsabile della morte di svariati giovani nel nord est.
Il 21 novembre 2018 invece altri due nigeriani, alti gradi degli "Eiye", vengono arrestati durante l'operazione "Calypso". Sono residenti a Padova ed a Treviso.
La mafia nigeriana dunque risulta molto ben inserita nella regione e, pur non essendo capace di infiltrarsi nel grande circuito economico delle aziende e delle imprese, riesce a ricavare guadagni elevatissimi, sopratutto grazie allo spaccio ed alla prostituzione.
Riguardo la gestione della tratta sessuale è oramai risaputo come le ragazze obbligate a prostituirsi vengano sottomesse tramite violenza fisica e psicologica, quest'ultima praticata specialmente attraverso i riti del vodoo: sono agghiaccianti le testimonianze dirette di come i rituali servissero a "segnare a distanza" le famiglie delle ragazze, di modo che se qualcuna di loro fosse fuggita od avesse denunciato il clan avrebbe subito un lutto in famiglia a causa della maledizione.
Pare però, ascoltando alcune voci della strada, che esista anche un altro canale parallelo della prostituzione, sempre gestito dai nigeriani; un canale che non utilizza minacce, anzi, è suadente. Le ragazze avrebbero un "biglietto" per il viaggio in Italia, da rimborsare all'organizzazione, e verrebbe loro dato un marciapiede in "comodato d'uso" con un "mutuo mensile" fino al completo pagamento del "biglietto". Una volta chiuso il pagamento, le ragazze sarebbero libere di gestirsi la vita, abbandonando strada e sfruttatori.
Quale sarebbe il guadagno per il clan in questo caso? Un notevole risparmio nella "protezione": queste prostitute non avrebbero guardiani a controllare il passaggio, con un notevole risparmio di risorse (ed un minore rischio di arresti) per la banda criminale.
Nessun "protettore" implicherebbe anche nessun pestaggio causato da introiti troppo bassi (violenze con conseguenze che spesso costringono le schiave del sesso a non lavorare per parecchi giorni) e si vedrebbe sui bordi delle strade una presenza continua, tranquilla e fissa che adescherebbe in generale nuovi potenziali fruitori della prostituzione con un "ritorno" complessivamente maggiore per il business della prostituzione.
Inoltre questo sistema, che svilupperebbe nelle prostitute una mentalità "imprenditoriale" (ovvero la libertà concessa alla giovane di tenersi il denaro in più rispetto al "mutuo" sarebbe per lei un incentivo per lavorare in maniera decisamente continuativa) gratificherebbe anche porterebbe anche ad una maggiore "fedeltà" dei clienti.
Costoro si troverebbero, infatti, di fronte a ragazze non mosse dal bisogno di accumulare numerosi paganti per aumentare i ricavi della nottata, quanto dalla volontà di crearsi una rete stabile e sicura, similmente alle escort ma a prezzi decisamente più bassi. Quindi le prostitute imprenditrici sarebbero teoricamente poco "meccaniche" e "fredde" nell'atto sessuale, dunque fornirebbero sempre teoricamente prestazioni più gratificanti al soggetto che paga rispetto al classico e fugace "sesso da strada".
Il contraltare?
Intanto i rischi di questa ipotetica dinamica potrebbero essere elevati, perché queste ragazze, pur non avendo gli aguzzini classici a spremerle, senza guardiani di alcun tipo sul posto si troverebbero comunque a poter subire aggressioni anche molto violente, tendenzialmente di natura sessuale.
Inoltre queste giovani finirebbero poi nel migliore dei casi nel giro della prostituzione di lusso (con molti dei "clienti fedeli" sopra citati pronti a pagare prezzi più alti), sempre tramite i legami con l'organizzazione, nella quale avrebbero purtroppo acquisito fiducia.
Nel peggiore dei casi di queste vite semplicemente verrebbero perse le tracce.
Avendo visto l'estrema varietà della mafia nigeriana è possibile concepire che esistano diversi livelli di sfruttamento delle donne, da uno più classico e palesemente schiavistico ad uno più subdolo ed ipocrita ma con effetti sempre negativi.
Bisogna, comunque, partire da un ovvio presupposto: questa mafia non si è radicata da sola. La droga e la prostituzione sono due mercati che necessitano di clienti, i quali non vengono dal mondo degli immigrati. I clienti degli spacciatori e delle ragazze di strada sono sopratutto i nativi locali, gente che nasce, vive e lavora in Veneto.
Dennis Vincent Klapwijk
Qui gli articoli della serie Mafia in Veneto
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