Il mese di maggio viene dedicato, ormai per tradizione dal 2011, alla promozione della lettura, per questo motivo alla grande platea dei giovani lettori (dai 3 anni in su) e dei grandi, voglio presentare il libro di Anna Llenas, Il Buco[1], un libro che personalmente utilizzo anche in studio con i miei pazienti e dove è possibile ritrovare l’essenza di due discipline: la pedagogia e la psicologia.
Un testo ricco di colori, testi e immagini originalissime che hanno una grande potenza simbolica come potenti sono i colori. Una storia semplice e per questo capace di arrivare dritto al cuore, o alla pancia, di chi si trova a vivere la sensazione di smarrimento esistenziale, che sopraggiunge a seguito della rottura di un equilibrio, di una grave perdita, come nel caso del lutto per la morte di una persona cara o del lutto che consegue una separazione o un divorzio.
Il libro affronta non un dolore qualsiasi, ma quel dolore, legato ad un lutto o ad un evento traumatico, che lascia il segno, nel nostro caso un buco, nella pancia di Giulia: la bambina protagonista della storia.
Questo libro attrae subito per la copertina, rigida con un buco al centro, poi sfogliando le pagine, di buchi se ne trovano tanti, di tante dimensioni e colori, e poi colpisce una frase, presente prima di iniziare il racconto: «Per te, affinché trovi quello che stai cercando».
La frase è una dedica e ognuno può sentirla sua, è indirizzata ad ognuno di noi, con i suoi buchi, colmi di bisogni, debolezze, vuoti e mancanze. Non è spiegato il perché di questo buco, ma solo le sensazioni che procura: entra freddo, escono mostri, ecc. Quando sentiamo un vuoto, solitamente, cerchiamo di colmarlo con “tappi”, e questo è ciò che fa Giulia, talvolta i tappi sono buoni, talvolta ingannevoli, finché arriva il momento in cui Giulia rinuncia, smette di cercare una soluzione.
Un fortunato giorno, però, qualcuno le suggerisce di guardare in sé stessa, così facendo Giulia si accorge di avere in sé un mondo pieno di sorprese, di emozioni, pensieri, e che questo mondo che non sapeva di possedere la può avvicinare nuovamente agli altri, anche loro con un buco nella pancia, un dolore alle spalle, anche loro con un mondo da condividere.
E qui possiamo rintracciare il cuore della pedagogia, la disciplina umanistica che studia l’educazione e la formazione, educare significa trarre fuori, condurre, portare la persona a guardarsi dentro, a comprendere sé stessa, i propri obiettivi e le proprie potenzialità, per riuscire a fronteggiare le incertezze e le difficoltà del vivere quotidiano[2].
Non solo Giulia guarda dentro il buco, ma lo attraversa imparando a conviverci e a capirne il significato per trarne nuove sintesi. In questo cercare di capire troviamo la psicologia, una scienza che studia i processi psichici, coscienti e inconsci, cognitivi (percezione, attenzione, memoria, linguaggio, pensiero ecc.) e dinamici.
Attraverso l’atto dell’attraversamento, del passarci dentro, la ferita del trauma si trasforma a poco a poco in una cicatrice che, pur non scomparendo completamente del tutto, permette alla persona di riappropriarsi della propria naturale capacità di resilienza[3].
È solo in questo modo, a ben vedere, che potremo trasformare le ferite in feritoie attraverso cui guardare il mondo![4]
[1] A. Llenas, Il buco, Gribaudo, Milano 2016.
[2] G. Milan, Educare all’incontro. La pedagogia di Martin Buber, Città Nuova, Roma 2004.
[3] F. Cagnoni, R. Milanese, Cambiare il passato. Superare i traumi con la terapia strategica, Ponte alle Grazie, Milano 2009.
[4] G. Nardone, Solcare il mare all’insaputa del cielo, Ponte alle Grazie, Milano 2008.
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a cura di Michele Lucivero
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