Magia della Thailandia tra antichi templi e giungla immacolata

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Magia della Thailandia
Magia della Thailandia

(Articolo di Virginia Reniero e Aristide Malnati sulla magia della Thailandia da VicenzaPiù Viva n. 12sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Il Nord della Thailandia: tra misteriosi santuari buddhisti e gli elefanti selvaggi arrivando fino al Mekong, il fiume della guerra del Vietnam.

Il grosso bimotore scende verso la pista, fendendo la coltre di umidità che avvolge la pianura sottostante. Chiang Mai nel Nord della Thailandia ci accoglie con un traffico già vivace pur essendo l’alba: arrivati freschi freschi dall’Italia (con cambio aereo in rapida successione all’aeroporto di Bangkok) facciamo fatica a entrare nell’ottica di guida all’inglese che contraddistingue numerosi Paesi del sud est asiatico, retaggio di un passato british ormai sbiadito.
Il resort Aleenta non è distante dall’aeroporto, in un’area lussureggiante; un’oasi sufficientemente asettica, protetta da piccole distese di palme e alberi tropicali, un gioiello di quiete all’interno di un quartiere a casupole basse.
L’ingresso nella sala yoga, in legno di teak ammantata di fragranze speziate, è un invito al viaggio, a un viaggio mentale, manna per i nostri corpi ancora scombussolati dal viaggio fisico sorvolando due continenti. Il corpo snodato della giovane insegnante ci conduce nella pratica antica dello yoga con posizioni inizialmente difficili ma che poi si rivelano benefiche. Questo primo approccio al benessere cancella gli sbalzi del fuso e ci consegna alla sera fresca di Chiang Mai. Cogliamo l’occasione del Night Market, occasione obbligata visto che è un appuntamento che si tiene solo la domenica, il giorno del nostro arrivo, e noi la domenica successiva saremmo già stati altrove. Bancarelle illuminate con prodotti un po’ prevedibili: il vociare confuso di idiomi incomprensibili ci ricorda che siamo in estremo Oriente, ma le merci, ammassate in spazi angusti, potrebbero figurare anche in suk arabi o in centri commerciali latino americani. Non molto stimolante, parecchio ripetitivo, ad iniziare dall’offerta gastronomica di cibi fortemente speziati e al nostro gusto tutti abbastanza simili. Per finire in bellezza la prima giornata thai optiamo per una pedicure con tanto di stimolazione podale impartita da mani esperte, questo sì, in un bugigattolo striminzito e maleodorante.

Aristide e Virginia in viaggio
Aristide e Virginia in viaggio

Ma Chiang Mai e in generale la Thailandia del Nord è la regione della spiritualità con antichi santuari buddhisti che si stagliano negli imponenti scenari di fiumi e fitte foreste.
Inizialmente non andiamo tanto lontano: dieci minuti a piedi dal nostro hotel e arriviamo al complesso religioso di U-Mong, tra alberi di grosso fusto, una piccola giungla di città. Un  labirinto di corridoi appena rischiarati dalla fioca luce delle fiaccole; ogni corridoio sfocia in una nicchia, antri con al centro la statua di Buddha nelle classiche posizione della meditazione e del fiore di loto.
A proposito di meditazione non ci facciamo mancare il “meditation walking”, un lento andirivieni all’aperto sotto una statua imponente lungo un percorso lastricato, seguendo la nostra maestra yogi nella sua andatura cadenzata che ci permette di “ascoltare” il movimento dei piedi dal tallone ai diti. Tuttavia i santuari più sacri sono fuori Chiang Mai, non distanti ma già immersi nella giungla più oscura. Iniziamo da Doi Suthep, alle prime luci dell’alba in tempo per ascoltare le preghiere dei monaci, intense litanie nella sacralità del chedi, l’ambiente più santo dell’intero recinto.
Canti rituali che ci accompagnano durante l’ascesa dei 300 gradini della struttura. Una sensazione mistica, un’esperienza profonda, ma anche colorata: ogni settore ha un cromatismo diverso, ogni colore ha un suo preciso rimando simbolico. Un’esperienza che si conclude con l’irrinunciabile e benaugurante benedizione dei religiosi, che serve loro anche per raccogliere le offerte di cibo dei pellegrini schierati in preghiera. Ma il tempio per veri Indiana Jones è il tempio segreto nella giungla, non molto distante, ma già perduto nel
mare verde della vegetazione. E’ la zona più selvaggia, a volte anche la più pericolosa. Lo capiamo bene quando un attendente dei religiosi ci raggiunge trafelato e in lingua thai, semisconvolto, indicando un grosso albero a 20-30 metri da noi, dice qualcosa di “shoccante” alla guida. Guida che impallidisce e prontamente traduce: “C’è un pitone di oltre 5 metri che dorme sotto quell’albero”.

Magia della Thailandia
Magia della Thailandia

Non una parola di più, ma alla frase subito segue il movimento deciso e silenzioso in direzione opposta. Con una simile ansia e un po’ incoscienti visitiamo nel dettaglio la costruzione sacra, i suoi cortili e i suoi ambienti, attraversati da ruscelletti, coperti da muschio e vegetazione e delimitati da scalinate logore e da passamani a forma di serpenti, di pitoni con grosse spire (e capiamo il perché…).
Ma la giungla vera arriva il giorno successivo. Con un robusto 4×4, lasciata la carreggiata che abbiamo percorso per 35 km da Chiang Mai tra piantagioni e sparute fattorie, ci addentriamo nella foresta vergine.
Non tanto, pochi chilometri di strada sterrata, ma basta per essere in una sorta di “Lost World”, di mondo perduto, dove la natura la fa da padrone.
L’Elephant Sanctuary di Maerim è un gioiello per rispetto degli animali e per ecosostenibiltà: non ce ne sono molti così e l’abbiamo scelto dopo accurata ricerca su guide e soprattutto in rete. Gli elefanti, 7 pachidermi, gravitano in un’area circoscritta ma naturale, da dove escono più volte al giorno, perché – va detto – non sono in cattività.
E, dopo un antipasto a base di noci di cocco che spezzano come se fossero grosse uova al cioccolato, i bestioni si inoltrano nella vegetazione più intricata, seguendo un istinto che rivela loro un percorso abituale.
Il cammino dei grossi mammiferi lascia tracce visibili di un passaggio burrascoso e interrotto ogni volta che hanno fame: con la proboscide divellono grandi quantità di arbusti e di fogliame, decine di chili di vegetale che servono per il loro lauto pasto quotidiano. Poi giungono all’ansa dell’ampio e, in quel punto, placido torrente e si tuffano senza esitazione, per rinfrescarsi (spruzzandosi l’un l’altro) e ovviamente per bere. E noi con loro, dando vita a un felice connubio tra uomo e natura.

Thailandia
Thailandia

Con un ruvido guanto li aiutiamo a liberare la spessa epidermide dai parassiti e loro gradiscono, innaffiandosi e innaffiandoci contenti; e completano l’operazione di spulciamento grattandosi lungo la corteccia degli alberi una volta usciti dall’acqua. Lasciamo Chiang Mai, antica e venerata capitale del Regno Lanna durante il medioevo, e ci dirigiamo a Chiang Rai, altra città storica della stessa civiltà, con grandi esempi di edifici sacri. Il primo di questi è il più celebre, una meraviglia imperdibile, il Tempio Bianco, esempio lampante di come sia oggi la religione buddhista e di come la sua portata spirituale venga comunicata al mondo. In una frase: qui la trascendenza diventa uno scatto per Instagram. Con il White Temple il simbolismo sacro del Buddhismo ha trovato una forma concreta che sarebbe molto piaciuta a Walt Disney e che ricorda il mondo dei ghiacci di Frozen. La sagoma fosforescente nelle giornate più terse lancia intense luminescenze al visitatore o al fedele che si avvicina e gli comunica un’idea di candore e di purezza. Era infatti questo il principale obiettivo di Chalermchai Kositpipat, l’archistar che nel 1997 ha completato la prima versione del grande santuario. Un intrico di guglie e pennacchi, di tetti spioventi e cornicioni con fregi che ricordano vagamente quelli della Grecia classica, scalini luccicanti con corrimani a forma di draghi o serpenti, che esprimono un sovraccarico di simbologie a mostrare la complessità dell’universo e dell’umana esistenza. E poi c’è l’aspetto più contemporaneo, quello della comunicazione soprattutto ai più giovani.
Come? Rendendo il tempio un must per Instagram.
Sì perché è il regno indiscusso delle più avvenenti e famose influencer asiatiche, che lo mitragliano di scatti fotografici, orientando i bastoni per selfie per riprendersi in pose studiate al millimetro. Una recente esistenza, quella del Tempio bianco, contraddistinta oggi da critiche verso chi lo vuole rendere terreno del business, laico e spietato, dei social e dei tour operator. Poco distante la storia non cambia, soprattutto non cambia lo stile di comunicazione. Eccoci al Tempio blu, a 15 km dal precedente (costruito dallo stesso architetto nel 2005 pur con uno stile più classico): anch’esso lega la sua potenza espressiva a un colore ben preciso. Cogliamo appieno la santità emanata dalla magnifica statua del Buddha, ricoperta da foglia d’oro al centro della sala principale.
Anche qui il simbolismo abbonda. Lo schema di toni blu rappresenta la saggezza del Buddha (il bianco era la purezza), mentre le forme più intricate rimandano alla difficoltà del percorso verso l’illuminazione. Il nome, poi, Wat Rong Suea Ten, si traduce come “tempio della tigre danzante” e ha anch’esso una forte valenza allusiva, legata alla forza e al potere.

Viaggio di Aristide e Virginia
Viaggio di Aristide e Virginia

Una costruzione che affascina per i rimandi arcani, dal fiore di loto, che rappresenta l’illuminazione, al terribile Naga, un serpente mitologico creduto proteggere l’universo con i templi buddhisti al centro. La spiritualità, poi, lascia spazio alla natura. Proseguiamo ancor più verso nord, nel cuore della pianura del Mekong, dove fitte piantagioni si susseguono generose di frutti tropicali lungo brevi corsi d’acqua che convergono tutti nel grande fiume. Il Mekong, il fiume della guerra del Vietnam, per un breve tratto dei suoi 4880 km separa la Thailandia dal Laos, solcato da lunghe imbarcazioni che fanno la spola tra animati villaggi. Ci siamo fermati in uno di questi, Chiang Saen: persone semplici, sorrisi spontanei tra mercatini e templi variopinti.
Questa immagine dolce riassume un viaggio, che è stato viaggio degli occhi, ma soprattutto viaggio dell’anima.