Il direttore de Il Gazzettino, Roberto Papetti, ha pubblicato, nell’edizione del 5 maggio (clicca qui) una risposta al quesito di un lettore, esordendo con il titolo: “La magistratura italiana in bilico tra potere eccessivo e credibilità sempre più bassa”. Egli ricorda che l’ennesima vicenda inquietante che ha investito la magistratura italiana (quella della misteriosa, ma influente, loggia Ungheria, di cui farebbero parte molti magistrati italiani) sarebbe avvenuta nel contesto del “solito gioco di ombre, misteri, interessi occulti e trame che sembrano essere ormai la principale occupazione di un nutrito numero di toghe”. E si chiede se, di questa magistratura, si possa ancora avere fiducia. La domanda retorica del Direttore mi sembra mal posta, ancorché sia innegabile che la vicenda, di cui, da giorni, si occupano i media, con malcelata preoccupazione per la sempre, più ridotta credibilità della magistratura, nel suo complesso, è obiettivamente molto grave.
Ma essa mi sembra l’espressione di un degrado non della magistratura, intesa come categoria, bensì di una società decadente ed abituata a rincorrere privilegi, franchigie a danno degli altri, a ricercare strade preferenziali e scorciatoie, a entrare nei centri di potere per far carriera e prevaricare gli altri, convinti che debbano essere sempre costoro i destinatari delle regole comportamentali. I fenomeni delle associazioni di persone devono essere contrastati (in virtù di un principio stabilito anche dalla Costituzione, art.18 poi, meglio chiarito da una legge ordinaria, n.17/1982) solo quando esse, operando di nascosto, perseguono fini incompatibili con quelli dello Stato, mirando a interferire sull’esercizio di pubbliche funzioni.
E, dunque, è molto grave la vicenda riferita dalla stampa, se, in seguito, verrà accertato che nella c.d. loggia Ungheria militavano, come sembra, magistrati, militari, docenti, giornalisti o uomini delle Istituzioni. Ma non si dica che essa è espressione di una magistratura inaffidabile e corrotta perché questa qualunquista affermazione fa torto ai tantissimi magistrati silenti che, nella quotidianità, si impegnano nel difficile compito di rendere giustizia ai cittadini.
Si puniscano (e anche severamente, se del caso, più degli altri) i magistrati colpevoli, ma si smetta di fare il solito tiro al bersaglio contro l’intera categoria, così concorrendo a sgretolarne irragionevolmente la credibilità, che è alla base dell’imprescindibile rapporto di fiducia fra cittadini e magistrati.
In questa vicenda sembrano aver sbagliato un po’ tutti: il PM di Milano, Paolo Storari, che non avrebbe dovuto consegnare i verbali “secretati” a Davigo, ancorché in fiducia, ed avrebbe dovuto attivare le corrette procedure per attivare il procedimento punitivo contri responsabili degli eventuali reati; ha sbagliato Davigo, che ha divulgato ad altre persone, non legittimate a conoscere i gravi fatti e non ha protetto la riservatezza della documentazione in suo possesso; ha sbagliato la sua segretaria nel trasmetterla, poi, alla stampa, per di più in forma anonima… E, ovviamente, hanno sbagliato tutti coloro che hanno o avrebbero aderito all’associazione segreta, magistrati compresi (anzi, soprattutto loro).
Giovanni Schiavon
Ex magistrato
Già presidente dei tribunali di Belluno e di Treviso