Magliette rosse anche a Vicenza? Meglio se colorate e con in più mele rosse

428

Leggo su VicenzaPiù della sfilata delle magliette rosse anche a Vicenza, meglio se con le magliette rosse griffate… e queste magliette rosse mi hanno fatto pensare a un uomo, italiano di origine meridionale che fino a qualche mese fa incontravo a Milano, nei pressi di Piazza della Repubblica: non gli davo denaro, ma gli compravo due panini, una coca cola (confesso, la guardava schifata e mi sorrideva…sapevo che non l’avrebbe bevuta, ma non gli ho mai comprato alcolici) e un pacchetto di sigarette. A marzo l’ho visto, ma non a maggio. Mi ha raccontato che aveva perso il lavoro e la famiglia e che la strada era l’unica amica che gli era rimasta.
Mentre pensavo a questo sconosciuto, ho letto le riflessioni di un amico di Bologna su facebook che riporto, perché a Vicenza, Milano o Bologna è uguale: «Davanti al mio studio da due anni siede sotto un portico, un uomo che avrà una sessantina di anni. È seduto con un cartello “cerco un lavoro”. Ci salutiamo ogni giorno, è educato, ogni tanto gli lascio degli spiccioli, fa commenti sul nostro cane che cresce. Da qualche tempo ha gli occhi gonfi, non sta bene, forse ha iniziato a bere. Non da fastidio a nessuno, raccoglie le simpatie del barista e dei negozianti. Durante il nubifragio di due giorni fa raccoglieva i cartoni volati per tutto il portico, lasciati dal ristorante fuori per la raccolta differenziata, riordinandoli. Ieri attendevo che passasse il corteo delle magliette rosse per tornare a casa dallo studio, tutto il centro era bloccato. Osservavamo i partecipanti, chi con solo la maglietta rossa, chi con la bandiera della pace, chi con cartelli inneggianti alla solidarietà, chi travestito con parrucche e abbigliamento sado maso, su tacchi vertiginosi. Nessuno che lo abbia degnato di uno sguardo, nessuno che gli abbia lasciato una moneta, molti che per ressa lo hanno costretto ad alzarsi per salvare il cartone su cui ogni giorno si siede. Tutti giovani con occhi assenti a ciò che vedevano. Finita la manifestazione, con il passaggio dei SUV della polizia e le macchine della nettezza urbana, tutto è tornato nella quiete di prima. Io a questa solidarietà di facciata credo poco; solidarietà che non ha rispetto, che non conosce l’educazion. Non ho un lavoro da offrire a quest’uomo e di fatto non faccio nulla per aiutarlo, a parte qualche spicciolo, ma apprezzo il suo buongiorno e il suo sorriso, lo scambio di commenti sulla giornata. Quest’uomo è lì da due anni e nessuna delle varie organizzazioni solidali l’ha mai cercato, aiutato. Nessuno dei frati che risiedono nel complesso delle sette chiese, e che passano sotto quel portico, ha speso una parola con lui… neppure il sacerdote della chiesa che spesso si ferma con i parrocchiani a prendere il caffè al bar, seppure sia un uomo buono prodigo di consigli per tutti. La società è malata, non siamo diventati razzisti, ma evidentemente viviamo di slogan, chi per un fronte chi per l’altro ma umanamente, nel rapporto con il prossimo non valiamo un cazzo. Anche se indossi la tua maglietta rossa alla prova del nove sei uno zero verso l’altro. Il livello della formazione di un uomo, intellettuale e spirituale, si fonda su dei principi basilari che emergono se acquisiti, tutto nasce dal rispetto dell’altro, chiunque esso sia… E ciò lo si afferma o si nega nel rapporto da individuo verso individuo, tutto il resto è il nulla. A volte si fa della facile ironia sulle scelte degli elettori e sulla facilità con cui si lasciano irretire dalle sirene degli imbonitori di turno».
La verità che si legge in queste frasi è che in questo Paese non assistiamo semplicemente a un degrado della coscienza civile collettiva, ma al sempre più evidente declino di una élite, già di suo di qualità modesta e incapace di svolgere efficacemente e consapevolmente il proprio compito. Giusta la riflessione del mio amico, ed io aggiungo sfilare, tanto per sfilare, senza mai mettere mano al portafoglio per aiutare il prossimo è mera filosofia. Già, sfilare con le magliette rosse per la città, magari prese a caso dall’armadio e griffate o non, poco importa se queste magliette vengono fabbricate sfruttando e schiavizzando uomini, donne e bambini del terzo mondo, quello stesso mondo che muore nei barconi del nuovo business. Che cosa importa se per estrarre i minerali essenziali per fabbricare i componenti degli smartphone (i selfies sono d’obbligo in queste parade) uomini, donne e bambini vengono chiusi nelle miniere-lager africane? Io, che secondo i canoni cattocomunisti e radical-chic sono un’antipacifista, amo ricordare una frase del Giusto tra le nazioni Gino Bartali: “il bene si fa ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”. Suggerisco meno magliette rosse e più mele rosse, che è scientificamente provato che proteggono il cervello dal declino mentale: più magliette colorate per ogni disagio e ogni sofferenza anche questa da non strumentalizzare! La generosità silenziosa e non plateale è il miglior contributo al disagio altrui. Chiunque veda un povero che mendica e fa finta di niente e non gli dà la Tzedakà contravviene ad un precetto negativo ed è detto (Deut. 15: 7) “Non indurire il tuo cuore e non chiudere la tua mano verso il tuo fratello povero” (http://www.morasha.it/zehut/sb14_tzedaka.html)