Maiali, la peste suina in Cina fa impennare i prezzi della carne. L’allevatore Rudy Milani: “si propaga velocemente”

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Confagricoltura Vicenza denuncia in una nota che le quotazioni della carne nazionale sono passate da 1,13 a 1,80 al chilo, con buone prospettive per l’export. Si teme però che la malattia si diffonda attraverso i cinghiali: “Si adottino misure di contenimento della popolazione degli ungulati, che in Veneto sta crescendo a dismisura”

Volano i prezzi dei maiali in conseguenza della peste suina che da un anno sta falcidiando gli allevamenti della Cina, obbligandola a sopprimere circa 200 milioni di maiali, pari al 40 per cento dei capi del Paese. Per il Veneto, dove il valore della produzione del comparto nel 2018 è stato stimato dall’Istat in 202 milioni di euro, è un trend che fa tirare un sospiro di sollievo agli allevatori, dopo un decennio durissimo per il settore.

“Da giugno 2019 è iniziata un’inversione di tendenza, che sta proseguendo anche in questo inizio 2020 – spiega Rudy Milani, presidente degli allevatori suini di Confagricoltura Veneto -. Le quotazioni sono passate da 1,13 euro al chilo agli attuali 1,80 euro al chilo. All’Italia, che non è autosufficiente, è mancata infatti la quota dei Paesi europei che in parte la rifornivano e che ora esportano in Cina e perciò il prezzo dei maiali da macello nazionali è schizzato in alto. L’industria della trasformazione per anni aveva acquistato materia prima all’estero, ma ora deve rifornirsi sul mercato interno. Ci auguriamo che, grazie a questa situazione, si cominci finalmente a ragionare in termini di filiera nazionale tracciata, con un vero made in Italy che parta dalla carne utilizzata. Avremmo anche ottime possibilità con l’export in Cina, dove l’ammanco di carne di maiale si sta facendo sentire. Peccato che il governo abbia posto molti paletti sanitari, che ad oggi ci consentono solo di esportare frattaglie. Il nostro vantaggio sarebbe invece quello di spedire in Oriente anche tagli nobili, in modo da aprire un canale di cui il nostro mercato si potrebbe avvantaggiare nei tempi futuri”.

Il numero di allevamenti veneti al 31 dicembre 2018 (dati Veneto Agricoltura) si aggira intorno alle 9.800 unità, di cui la stragrande maggioranza a conduzione familiare (circa 7.700 unità) con in carico poco meno di 3.000 capi. Gli allevamenti con finalità da reddito sono 1.885, con 633.000 capi censiti nell’ultimo controllo. Le province dove si concentra la produzione sono Verona, che detiene circa un terzo del totale, seguita da Treviso (20%) e Padova (17%). Quindi Rovigo, Vicenza, Venezia e infine, con una piccola quota, Belluno.

Accanto alle note positive c’è però il timore che la peste suina arrivi anche nel nostro Paese, dato che è già giunta in Europa e attualmente i contagi hanno colpito allevamenti in Polonia e in Paesi dell’Est europeo, a poche decine di chilometri dai confini tedeschi.

“La peste suina non contagia l’uomo, ma si propaga velocemente anche tramite gli animali selvatici come i cinghiali – rimarca Milani -. Bisogna rafforzare i controlli per la biosicurezza, applicando le linee guida della Commissione europea, e soprattutto gestire le enormi popolazioni di cinghiali che sono portatori sani della peste suina. In Veneto abbiamo una popolazione di cinghiali fuori controllo, perché non ci sono antagonisti naturali che la contengano. Nella nostra regione la popolazione dei cinghiali continua ad aumentare a dismisura, arrivando a contare migliaia di esemplari che stanno creando danni notevoli all’ambiente e alle attività agricole. Bisogna adottare misure di contenimento efficaci, con catture e abbattimenti mirati, anche per evitare il diffondersi di una malattia catastrofica come la peste suina negli allevamenti, che comporta l’abbattimento immediato di tutti i capi e il blocco delle esportazioni di carni suine e derivati. Il malaugurato diffondersi di un’epidemia di peste suina in Italia condannerebbe a morte le aziende di allevamento e una quota importante dell’export agroalimentare nazionale, che vale 8 miliardi”.