Mantoan rinuncia alla Sardegna e resta in Veneto… fino a maggio 2020: gelo con Zaia

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Domenico Mantoan
Domenico Mantoan e Luca Zaia
Abbagli d’agosto (per Mantoan, Solinas e Zaia?, ndr) A poche ore di distanza dalla nomina a commissario straordinario di Ats Sardegna – l’Azienda di tutela della salute che amministra il circuito ospedaliero e assistenziale dell’isola – Domenico Mantoan ha rinunciato all’incarico, ritenendolo «incompatibile» con il ruolo di direttore dell’Area Sanità e Sociale del Veneto, che ricopre dal 2010. Una decisione clamorosa, la sua, maturata dopo un colloquio con il governatore Luca Zaia (che pure gli aveva concesso il via libera) e comunicata in forma di mail al presidente Regione Christian Solinas, del quale non è difficile immaginare lo sconcerto.
Al manager, contattato attraverso un emissario di fiducia, il sardo aveva prospettato un primo mandato bimestrale “part time” al quale, previa congedo da Venezia, sarebbe seguita la direzione sanitaria a Cagliari, con l’obiettivo di “smontare” l’Ats – un Ulss unica dal bilancio deludente – e ricomporre il ventaglio di aziende sanitarie nel territorio. Ottenuto l’assenso verbale, il presidente ha proceduto alla nomina, accolta con qualche stupore dalla politica sarda, con l’opposizione del Pd lesta a contestare l’erogazione del «doppio stipendio». Poi, il colpo di scena. Ma cosa è accaduto davvero?
Solinas sconcertato
Il punto di partenza è l’inquietudine crescente di Mantoan, un top manager al quale un po’ tutti attribuiscono due caratteristiche marcate: la competenza professionale, abbinata ad un’intensa vocazione al lavoro; e il caratteraccio, che alimenta tensioni nella catena di comando e nei rapporti istituzionali. E se il ferreo mandato ricevuto – risanare a suon di tagli il miliardo di disavanzo ereditato dalla stagione galaniana – non ha contribuito alla sua popolarità, certo i toni sbrigativi con i dirigenti sottoposti (già ufficiale medico dell’Esercito, coltiva un senso spiccato della gerarchia) hanno finito per suscitare malcontento e proteste diffuse, a fatica sopìti da Zaia, che pure (memorabili le sfuriate di Luca Coletto) l’ha costantemente protetto dai fulmini leghisti. Certo i numeri lo confortano: la sanità del Veneto, unica regione che non applica l’addizionale Irpef ai cittadini, ha ridotto fortemente l’indebitamento garantendo nel contempo standard qualitativi essenziali (i fatidici Lea) che la collocano ai vertici nazionali; e le riforme introdotte – dall’accorpamento delle Ulss alla nuova governance Azienda Zero – raccolgono estimatori (e imitatori) in varie parti d’Italia. Ma dopo un decennio in trincea costellato di ostacoli e litigi, Mantoan è convinto di avere sostanzialmente esaurita la mission e non fa mistero di aspirare a nuovi orizzonti.
Troppe insidie nell’isola
In quest’ottica si colloca l’opzione sarda, concepita magari come un trampolino verso ulteriori traguardi ministeriali. Una partita che Mantoan ha condotto in gran segreto, informando Zaia a giochi fatti. «Ero all’oscuro delle trattative ma conosco Solinas, è un galantuomo, e quando mi ha chiesto una mano ho evitato di mettermi di traverso», ha confidato allo staff. In effetti, nel faccia a faccia al Balbi, il governatore leghista non ha opposto veti alle aspirazioni del suo direttore, accettando anche l’eventualità di un “distacco” (due giorni la settimana) in terra sarda. Sembrava fatta. Invece no. Perché la prospettiva, non più astratta ma concreta e immediata, di calarsi nella spinosa congiuntura della sanità pubblica nell’isola – tra conti in profondo rosso, procedura di rientro che blocca gli investimenti, inchiesta della Guardia di Finanza in atto,crisi verticale dell’offerta di cure – ha indotto il vicentino a un drastico ripensamento, culminato nel rifiuto, motivato allo sbigottito Solinas con un cenno al rischio di «illegittimità degli atti».
Corsa alla successione
Morale della favola? Domenico Mantoan, vincolato da un contratto in scadenza a maggio, mantiene il suo ufficio full time a Palazzo Molin ma la sua avventura al timone del welfare nostrano (un colosso che fattura oltre dieci 10 miliardi l’anno, il 75% delle risorse a bilancio) sembra all’epilogo. La stanchezza, i tanti oppositori, gli scricchiolii funzionali aggravati dall’esodo dei medici ospedalieri, l’incrinatura del legame fiduciario con Zaia: l’avvicendamento, con ogni probabilità, precederà la fine della legislatura. La corsa alla successione è aperta.
di Filippo Tosatto, da La Tribuna di Treviso