Marcinelle, l’8 agosto 1956 nella miniera belga di carbone morirono 262 minatori di cui 136 italiani: non ci furono distinzioni di razza. E oggi…?

866

Sono passati 65 anni da quel maledetto 8 agosto 1956, quando nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, morirono centinaia di minatori. (video dell’epoca in copertina, ndr)

Il disastro di Marcinelle, strage miniera
Il disastro di Marcinelle, strage miniera

In quel massacro non ci furono distinzioni di razza, di religione, di ideali politici. Si abbia memoria di questo. Si sappia che morirono lavoratori immigrati provenienti da ogni parte del mondo. Persone che avrebbero voluto vivere in pace e che erano, invece, costrette a lavorare nel pericolo per sopravvivere. La lista delle 262 vittime, pubblicata il 10 agosto dal quotidiano Le Soir, riporta i numeri del massacro. Minatori di 11 nazionalità diversa: 136 italiani, 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 3 ungheresi, 3 algerini, 2 francesi, 1 britannico, 1 olandese, 1 russo, 1 ucraino. Altri corpi furono estratti nei giorni e nei mesi successivi. Centinaia di minatori furono uccisi ma, in definitiva, nessuno fu dichiarato colpevole. Ci fu una sola condanna a 6 mesi con la condizionale e a 2000 Franchi belgi di multa. Tutti gli altri imputati furono assolti.

In ricordo di quella tragedia del lavoro, ogni 8 agosto ricorre la “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”.

Ci saranno commemorazioni, discorsi, articoli, parole… Si ricorderà il disastro di Marcinelle. Si piangeranno ancora i minatori morti, si dirà che erano costretti a lavorare in condizioni atroci. E si affermerà (solennemente) che quella tragedia portò maggiore attenzione alla sicurezza; che, quelle, sono cose che, nel mondo civile, oggi non possono più accadere. Un ricordo ad occhi chiusi.

Poi tutto tornerà nella normalità. E la normalità è che, nei luoghi di lavoro, si continua a morire. E che è altrettanto normale che nessuno venga condannato. Che ci saranno sempre la prescrizione, le attenuanti, i patteggiamenti, il “fatto che non sussiste”, la mancanza di prove certe di una responsabilità individuale. Tutti, in definitiva, assolti. Sempre e comunque.

In Italia centinaia di lavoratori muoiono per infortunio nei luoghi di lavoro ogni anno (sono oltre 430 da inizio anno).

Allora è doveroso avere coscienza che anche adesso le morti nel lavoro e di lavoro non sono quasi mai dovute al caso ma a condizioni precarie, all’assenza di una normale sicurezza, a condizioni di lavoro pericolose in ambienti malsani e inquinati, a lavori faticosi, usuranti, alienanti.

Bisogna ricordare che, nel sistema nel quale viviamo, la sicurezza è considerata un costo che ostacola un maggiore profitto.

E dobbiamo ricordare le migliaia di morti per malattie dovute all’amianto (Eternit e non solo), i morti e gli ammalati di tumore dovuti alle condizioni degli impianti dell’ILVA di Taranto. Ricordiamo gli operai bruciati vivi alla ThyssenKrupp di Torino, i lavoratori morti a causa delle condizioni di lavoro alla Tricom di Tezze sul Brenta …

Questi sono solo pochi esempi di quella spaventosa abitudine di accettare lo sfruttamento e di considerare chi lavora solo un numero, un ingranaggio di un sistema che punta unicamente al profitto di qualcuno.

Ricordiamo Luana D’Orazio e Laila El Harim divorate da macchinari senza protezione né sicurezza e tutti i “dimenticati”, quelle persone che non hanno nome e volto, coperti dal silenzio complice di gran parte della “grande informazione ufficiale”.

Così, quale esempio di tutti i “dimenticati”, vogliamo ricordare sempre e con ostinazione le lavoratrici e i lavoratori della Marlane Marzotto di Praia a Mare (oltre cento le vittime da tumore a causa delle condizioni di lavoro che si subivano in quello stabilimento) e le loro famiglie che, come a Marcinelle, non hanno ancora avuto giustizia. (qui il nostro libro “Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante“)

Che almeno per un giorno si abbia memoria.

Su Marcinelle  “Lu trenu di lu soli”, una poesia di Ignazio Buttitta musicata e interpretata da Otello Profazio
https://www.youtube.com/watch?v=3jtAe8yGPWw

 

Articolo precedenteLe dichiarazioni di Di Carlo e Diaw nel post partita dell’amichevole Sassuolo-LR Vicenza
Articolo successivoGreen Pass e indennizzi “danni” vaccini, il “cittadino qualunque” Franco Barbieri: oltre ai No Vax ci sono i “Non Prendetemi per i Fondelli”
Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.