Mascherine a 50 centesimi, le due alternative non solo per i Dpi nel dopo Coronavirus: priorità a profitto privato o a benessere collettivo?

187
Mascherine chirurgiche
Mascherine chirurgiche

Al solito: basta parlare di prezzo controllato per qualcosa (in questo caso le mascherine a 50 centesimi senza IVA) che i paladini del liberismo si offendono.e cominciano a gridare i propri dogmi.

“È uno schiaffo alle imprese” è nel titolo di un articolo del Corriere della Sera. Zaia “evidenzia il problema e dice che così sparirebbe la produzione nazionale. Altri sostengono che è logico e, soprattutto, giusto che sia il mercato a dettare i prezzi …

Ebbene, ma perché non è possibile fissare un prezzo massimo? Perché bisogna lasciare alla speculazione (che esiste e questo è evidente) il compito di fissare il “giusto prezzo”? E perché mascherine che prima dell'emergenza coronavirus avevano un costo inferiore ai 20 centesimi l'una, oggi che sono necessarie, non possono essere vendute a 50 centesimi? Perché la decisione di calmierare il prezzo di un bene che è diventato primario e necessario dovrebbe essere considerato da “lorsignori” un attacco alla libertà? E, infine, si ritiene più giusto lasciare a lorpadroni il privilegio di fissare il prezzo di vendita (in base a quello che vogliono guadagnare) oppure è più importante garantire a tutti il diritto di poter acquistare un bene necessario qual è la mascherina a un prezzo ragionevole (un tempo si sarebbe detto “politico”)?

Questa diatriba sul prezzo delle mascherine non è qualcosa di marginale. È una questione di fondo. Se ci pensiamo bene è un esempio di come si potrebbero cambiare le cose, di come possa diventare (come, del resto, è) più importante il bene collettivo rispetto al profitto individuale.

È, in definitiva, una questione analoga a quella della patrimoniale. Altro termine, per “lorsignori”, demoniaco. Chiariamo un aspetto, la patrimoniale non significa certo tassare qualsiasi patrimonio né i risparmi di tutti. Vuole dire attivare una forma di contribuzione contenuta ma strutturale e progressiva sulle grandi ricchezze (per esempio a partire da oltre una decina di milioni di euro, che non sembra siano pochi).

Anche sulla patrimoniale viene usata la mannaia del dogma. La ricchezza non può e soprattutto non deve essere toccata. Il perché è stabilito da “lorsignori” che posseggono grandi ricchezze e resta oscuro (o, meglio, sarebbe chiaro e semplice: i ricchi devono poter arricchirsi sempre di più), perché è utile (sempre per loro) creare confusione e timore dicendo che la patrimoniale intaccherebbe anche i piccoli risparmi, quel limitato benessere che si riesce, non sempre, a crearsi dopo decenni di lavoro.

Ci si può ben rendere conto che dalla situazione creatasi con il coronavirus si può uscire in due maniere. Ci sono due alternative.

La prima è di lasciare il sistema così com'è. Rendendolo ancora più ingiusto e cattivo. Si tolgono le regole, i lacci e i laccioli così che i ricchi potrebbero accumulare sempre più ricchezza mentre la maggioranza della popolazione si vedrebbe costretta a una crescente miseria. Aumentare le disuguaglianze, infatti, è la caratteristica principale del sistema capitalista.

La seconda, invece, darebbe priorità al benessere collettivo e garantirebbe a tutti una maggiore giustizia fiscale e sociale.

Dipende da noi, da ognuno di noi, decidere la strada da percorrere e quale sia quella che garantisce la migliore prospettiva per un futuro più sicuro (o meno precario).

La scelta non è certo semplice perché da troppo tempo il pensiero dominante è che non si possa costruire un sistema diverso da quello rappresentato dalla prima alternativa. Si fa fatica solo pensarlo. Ma si potrebbe iniziare almeno porsi alcune domande e dubbi. Forse ci si potrebbe convincere che sia possibile un reale cambiamento.

Sei arrivato fin qui?

Se sei qui è chiaro che apprezzi il nostro giornalismo, che, però, richiede tempo e denaro. Se vuoi continuare a leggere questo articolo e per un anno tutti i contenuti PREMIUM e le Newsletter online puoi farlo al prezzo di un caffè, una birra o una pizza al mese.

Grazie, Giovanni Coviello

Sei già registrato? Clicca qui per accedere

Articolo precedenteFlash mob contro il Governo nel giorno della festa dei lavoratori. I commercianti vicentini: “aiutateci a non chiudere per sempre”
Articolo successivoAffitti, Unione Inquilini CUB: “baratro sfratti per morosità, Regione e Anci facciano sentire voce al Governo”
Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.