Medicina nucleare a Vicenza, servizio pubblico (e umano) e sanità privata (e favorita): perché i dg sono costretti a “tappare” i buchi

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Medicina nucleare a Vicenza, una sala di degenza protetta
Medicina nucleare a Vicenza, una sala di degenza protetta

Avevamo già, anzi, visto che l’esperienza è stata mia diretta, avevo già scritto del San Bortolo di Vicenza («Un’esperienza di eccellente e “umana” sanità pubblica al Dipartimento Strutturale Chirurgie Specialistiche») ma oggi ci torno, parlando del reparto di Medicina nucleare, dopo aver letto sulla stampa locale alcune critiche (della serie stigmatizzo ma poi dò il contentino a chi è responsabile delle Ulss) alla gestione delle crescenti carenze di personale con sanitari (medici, in particolare, oltre che infermieri e Oss) ingaggiati da cooperative.

Nel mio percorso, utile non solo alla mia salute (rassicuro, oltre ai miei e nostri lettori, anche chi ancora mi porta in tribunale che sarò sempre… presente) ma anche a conoscere dall’interno certe situazioni di cui spesso anche noi giornalisti parliamo dall’esterno e da dietro le nostre scrivanie, ho incontrato, non di certo per un’intervista, altri medici e operatori sanitari del nostro ospedale di Vicenza, segnatamente quelli del reparto di Medicina nucleare diretto dal dr. Andrea Lupi.

Dopo i precedenti accertamenti di rito, prima col dr. Piergiuseppe Orsolon e poi anche col dr. Samuele Ave, ci sono stato qualche giorno, non un’ora (lo scrivo non perché interessi io ai lettori ma per dire che non è stata una visita… guidata).

Dopo le terapie del caso, sono, infatti, rimasto lì in isolamento insieme, per fortuna, ad un altro degente di Cornedo, Giuliano, e ai miei attrezzi del mestiere: computer, cellulare e iPad, tutti attivi perché, anche nelle stanze di “degenza protetta“, così si chiamano, tutti i degenti hanno accesso ad Internet, per svago, comunicazione o lavoro.

Ora, dopo le cure e le “attenzioni” mediche e, consentitemi l’aggettivo, umane ricevute (da me e dal mio compagno di stanza), dai dr. Orsolon (mi ha detto che fra poco anche lui farà parte dei “VIP“, Veci In Pension) e dal giovane Ave e da infermieri, infermiere, Oss, operatori fisici (per la misurazione delle radiazioni), che ci hanno “accompagnato” e fatto compagnia nel nostro percorso (cito, uno per tutte e per tutti, Davide che nei turni di notte poco mancava che ci rimboccasse le coperte da fratello, minore, per farci sentire meno isolati e soli), dopo quanto vissuto cosa dovrei rispondere alla domanda che mi e vi faccio?

Se e quando andranno via le persone di quel reparto di Medicina nucleare (Orsolon perché VIP, Ave perché giovane ma attratto magari da altre prospettive, offerte, chissà, dalla sanità privata, altri operatori anche per stress e turni impegnativi), la direzione lo dovrà chiudere, visto che non sembra proprio che ci sia una politica di assunzioni e incentivazioni nella sanità pubblica?

O dovrà, come oggi fanno i vari dg, non solo a Vicenza ma praticamente ovunque, cercare servizi esterni, che siano qualificati ovviamente, ma esterni?

Ci sarebbe una terza strada per questo e altri reparti, tutti più o meno nelle stesse condizioni se non in quelle, peggiori, dei Pronto Soccorso: sfruttare ancora di più (schiavizzare?) il personale rimasto.

Ma, poi, invece che delle critiche mediatiche dovremmo scrivere anche, come d’altronde già facciamo, delle proteste sindacali.

E, quindi, poi non potremmo non prevedere, facile farlo, che gli “schiavi” scapperanno ancora di più…

La soluzione?

Va bene la sanità privata integrativa o per servizi non di medicina “necessaria”, liberamente scelta dagli utenti, ma si abbandoni lo slogan, ripetuto a destra e a manca, “Più sanità pubblica!” e lo si sostituisca con una vera e non solo parolaia azione: chi di dovere, Stato e/o regioni che siano, metta in campo le risorse economiche, intanto, per tappare i buchi, poi per rilanciare l’assistenza pubblica per cui i cittadini pagano, prima, tramite le tasse, ma senza avere, poi e sempre più spesso, il servizio atteso nei tempi necessari.

In una clinica privata si paga a servizio fornito… chiaramente precisando che la sanità privata, per prestazioni coperte dall’assistenza pubblica, lavora con budget ed in supporto della Sanità pubblica. Nulla è dovuto, in quel caso, dai cittadini, se non il ticket ove previsto, esattamente come nel pubblico.

Quando il cittadino paga, esattamente come in ospedale, significa che non è transitato dal Cup (a cui sono collegati anche i privati accreditati) oppure che richiede prestazioni non Lea, assistenza particolare (vedi dozzinanti previsti anche in ospedale pubblico!), oppure per scelta del Medico.

Anche i “liberisti”, che sostengono il “mantra” delle libera concorrenza, dovrebbero, comunque, essere d’accordo: una sanità pubblica efficiente, quindi con più risorse a monte, stimolerebbe anche quella privata a fare meglio e a prezzi… competitivi, da libero mercato, non favorito dall’assenza e/o dalle carenze del competitor pubblico e difficilmente accessibile a tutti, anche a chi già ha pagato per la medicina pubblica, e specialmente in questo, prevedibilmente lungo, periodo di crisi economica.

P.S. provocatorio: a chi è costretto a rivolgersi, in emergenza, alla sanità privata lo Stato e/o le regioni restituiscano il già pagato per un servizio non ricevuto o non fruibile in tempi medicamente corretti.