«Meno 32 milioni di tasse nelle tasche dei Comuni vicentini»

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«32 milioni di euro di tasse in meno nelle casse dei Comuni vicentini». Luca Romano, direttore della società di ricerca Local Area Network di Padova, snocciola numeri impressionanti. Negli ultimi giorni la sua società ha studiato i mancati introiti delle amministrazioni durante il lock-down: imposte, tasse e proventi (multe escluse). Il dato emerso è la differenza tra le entrate nel bimestre marzo-aprile 2019 e quelle dello stesso periodo del 2020: l’anno scorso 46 milioni 250 mila euro contro 14 milioni 229 mila euro di quest’anno. La perdita è del – 69,2%. 

Romano, come si spiega questo crollo?

«I valori sono riportati dalla banca dati Siope (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) che fa capo alla Ragioneria Generale dello Stato, Banca d’Italia e Istat. Nei due mesi di chiusura totale e obbligo di stare a casa le amministrazioni non hanno percepito o hanno percepito in maniera minore varie tasse e tributi. I principali sono: l’addizionale comunale Irpef, le imposte di soggiorno, le tasse sulle concessioni comunali, la tassa occupazionale spazi e aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni. Alcuni tributi, come l’Imu e la tassa sullo smaltimento rifiuti, sono stati posticipati per aiutare famiglie e imprese».

Quali sono i comuni vicentini che soffrono maggiormente?

«In percentuale i Comuni più in difficoltà sono quelli molto piccoli, con meno di duemila abitanti e quelli medio-grandi, oltre i 60mila ovvero Vicenza. I primi hanno perso un milione 636mila euro (-78,3%) di tasse: di solito hanno molto “residenziale”, poche attività economiche e poche entrate tributarie. Le seconde (-12 milioni 712 mila euro, 83,4%) sono legate al turismo, hanno un’economia della cultura, dello svago e devono sostenere molti servizi di area vasta. Penso ad esempio al trasporto urbano di Vicenza che è anche extraurbano e paga il prezzo altissimo della chiusura anticipata delle scuole. I comuni che vanno meglio sono quelli come Dueville, invece, che è appena sotto i 15mila abitanti, è caratterizzato da una varietà equilibrata di attività economiche molto vivaci: agricoltura, manifattura, servizi».

I Comuni come possono sopravvivere?

«La fortuna è che la maggioranza dei Comuni ha soldi risparmiati dal 2019. Potranno contare, poi, sui trasferimenti dei decreti Cura Italia e Rilancio. Le sofferenze maggiori saranno dei comuni molto indebitati, come Torino, o che vivono soprattutto di turismo, come Firenze o Venezia».

Abbiamo toccato il fondo o i dolori peggiori devono ancora arrivare?

«I dolori peggiori arriveranno ad ottobre. A metà giugno scade la prima rata Imu che molti comuni hanno già posticipato. Tutti riusciranno a pagarla? Bisognerà vedere poi se le famiglie che accusano meno redditi potranno sostenere le rette delle case di riposo, dei nidi, delle mense delle materne. Quello che è certo è che buona parte degli effetti sociali della pandemia si riverseranno sui comuni, perché gestiscono moltissimi servizi».

I Comuni possono essere i veri protagonisti della ricostruzione?

«Sono rimasto colpito dalla velocità con cui il governo ha deliberato e distribuito 400 milioni di bonus alimentari. Il 28 marzo il decreto, il 29 marzo l’ordinanza della protezione civile con i criteri di distribuzione. Dal 6 aprile i Comuni potevano erogarli e l’hanno fatto in modo esemplare. A differenza di tutte le altre polemiche, tipo la cassa integrazione in deroga che in alcuni casi non è ancora arrivata, si è visto come lo Stato, se vuole, può deburocratizzare ed essere efficiente. Ci può essere una buona collaborazione».

Quante sono le famiglie in difficoltà dopo il lockdown?

«Dalla nostra ricerca risulta che il 70% dei nuclei familiari che si sono rivolti alle varie amministrazioni del Vicentino per ottenere il bonus spesa era sconosciuto ai servizi sociali. Quando il comune gestisce le prestazioni assistenziali il beneficio è duplice: oltre ad aiutare chi è in difficoltà si mettono in atto meccanismi di tessitura comunitaria. Ecco perché, a mio avviso, il reddito di cittadinanza dovrebbe essere gestito dai Comuni».

I Comuni hanno avuto meno introiti, ma anche meno spese.

«Sì, ad esempio tutte le spese legate al mondo scolastico: trasporto, illuminazione e riscaldamento (a marzo era ancora acceso) degli edifici. Sono poi stati sospesi tutti i servizi alla persona legati all’Ulss: dai disabili, agli anziani. Temo comunque che sia una parte piccola».

I mancati introiti nelle casse comunali si riverseranno sui territori, riducendo i servizi?

«Sì, c’è questo rischio.  Bisogna capire quali dinamiche sociali si innesteranno. Nei prossimi mesi tutto costerà di più – ce ne stiamo già accorgendo – e sarà più esclusivo, nel senso che potranno usufruire dei servizi meno persone a un prezzo più alto (trasporti, aerei, treni, ma anche piscine)».

Quali priorità devono darsi i nostri Comuni per fronteggiare la crisi?

«Il principio fondamentale è non attendere, ma avere visioni e iniziative in diversi ambiti: dall’attrazione di investimenti al ridisegno del welfare dei servizi alla persona, a un’urbanistica per i nuovi spazi dell’organizzazione del lavoro: il Covid ci ha costretto a una sperimentazione di massa dello smart working. Molte aziende lo stanno prendendo in considerazione e c’è anche la possibilità, in prospettiva, dell’incremento del co-working. Spazi di lavoro collettivi per chi non ama lavorare in casa, ma che può risparmiare l’ora d’auto o di treno».