Immaginate una partita a scacchi in cui, improvvisamente, i pedoni valgono quanto le regine. Ecco, qualcosa di simile sta succedendo nei mercati finanziari negli USA: il premio per il rischio azionario (c.d. equity risk premium), che storicamente giustifica l’investimento in azioni rispetto ai più sicuri titoli di Stato, sembra essersi volatilizzato. Un’anomalia che mette a dura prova persino i principi più fondamentali della teoria del capitale.
Cos’è l’equity risk premium USA e perché conta?
Per i non addetti ai lavori, il premio per il rischio azionario è la differenza tra il rendimento atteso delle azioni (in questo caso l’S&P 500) e quello dei titoli di Stato decennali. In altre parole, è il “compenso” che un investitore si aspetta per affrontare il rischio maggiore associato alle azioni. Fino a qualche anno fa, era un pilastro del sistema: più rischio, più rendimento. Ora? Quel pilastro sembra sgretolarsi.
Secondo i dati di Rosenberg Research, l’equity risk premium ha toccato livelli così bassi da far sembrare il 2008 un’epoca spensierata. Le cause? Un mix di prezzi azionari alle stelle – spinti da anni di politica monetaria espansiva – e tassi di interesse che non è chiaro quale direzione vogliano prendere soprattutto dopo l’ultima dichiarazione della FED per bocca di J. Powell che afferma di “non avere fretta nel tagliarli”. Il paradosso? Oggi gli investitori rischiano grosso per un ritorno che, nella migliore delle ipotesi, sfiora quello offerto dai titoli di Stato. È come pagare un biglietto premium per un concerto, solo per scoprire che l’artista principale ha lasciato il palco.
Equity risk premium USA: chi abbasserà la testa?
Per riportare equilibrio nel sistema, servirebbe una delle seguenti correzioni: o i prezzi azionari scendono (una prospettiva che nessun CEO vorrebbe sentirsi dire) o i tassi di interesse calano drasticamente. Ma entrambe le strade sono, almeno per ora, difficili da immaginare. Non è la prima volta che vediamo le dinamiche economiche intrecciarsi con decisioni politiche e promesse: un caso emblematico riguarda le accise sui carburanti, come approfondito nell’articolo di qualche tempo fa. La Federal Reserve, tra inflazione ancora elevata e un’economia resiliente, difficilmente allenterà la presa sui tassi. E il mercato azionario, trainato da colossi come Microsoft e Apple, sembra immune a qualsiasi richiamo alla realtà.
Un problema di sostenibilità nei mercati USA
La situazione attuale non è solo una curiosità statistica: è un nodo teorico. In economia, si insegna che chi assume rischi maggiori – come nel caso delle azioni – deve essere ricompensato con rendimenti superiori rispetto a chi opta per strumenti sicuri come i Treasury. È un principio semplice, quasi elementare. Eppure, nel 2024, sembra essersi perso per strada. La storia insegna che gli squilibri del mercato non durano a lungo: quando il pendolo si muove, lo fa con forza. Forse è solo questione di tempo prima che la realtà economica torni a far valere le sue regole.
Un ritorno al futuro?
Per chi si domanda cosa potrebbe accadere, basta guardare indietro: i mercati hanno attraversato situazioni simili in passato. Nel 2000, durante la bolla delle dot-com, gli investitori avevano dimenticato che anche le azioni devono generare profitti reali. Il risultato? Un doloroso risveglio. Oggi, con il premio per il rischio al minimo storico, si rischia di ripetere lo stesso copione. Ma chissà, forse stavolta il finale sarà diverso; se dovesse esserci uno storno dei mercati, si presenta comunque una valida opportunità per comprare a prezzi scontati. L’equity risk premium è basso perché i titoli di Stato offrono rendimenti vicini a quelli azionari, che storicamente erano superiori. Questo rende le azioni meno appetibili, specie considerando il rischio e le dinamiche di smobilizzo legate agli earning.
Come disse una volta John Maynard Keynes, “i mercati possono restare irrazionali più a lungo di quanto tu possa restare solvibile”. Nel frattempo, il consiglio per gli investitori è semplice: occhio alle regine, ma non sottovalutate i pedoni (che potrebbero essere paragonati a dei sicuri fondi obbligazionari o gestioni patrimoniali improntate su titoli di debito). Questi potrebbero ribaltare la partita.